Giovane e bella, la Francia salvata da Marine

10 Gennaio 2015 di Stefano Olivari

La Francia e l’Europa saranno salvate da Marine. Forse non Le Pen, come ha previsto Houellebecq (che ipotizza nel suo nuovo romanzo un governissimo centrodestra-centrosinistra con presidente un esponente del partito islamico, che escluda proprio il Front National), ma di sicuro Vacht. L’attrice che in Giovane e bella, il film di François Ozon recentemente visto in televisione, interpreta un personaggio fortissimo. Una mignotta, se dovessimo sintetizzare al massimo. Ma una mignotta che non è vittima del sistema visto che va a scuola ed è formalmente ben integrata, che non è vittima della famiglia che considera invisibile come tanti di noi, che non è vittima del denaro perché non ha grandi necessità anche se le piace essere pagata, che non è vittima nemmeno del sesso che a volte la incuriosisce ma di sicuro non le fa perdere la testa.

Isabelle, questo il nome della protagonista, ha 17 anni e vive con un patrigno che ci prova in maniera soft, una madre che ha le sue storie con un amico di famiglia (il negro intellettuale, tipo Thuram, che i registi francesi usano con la frequenza con cui Mariano Laurenti usava Jimmy il Fenomeno), un fratello (Victor) che si ammazza di seghe ma con il quale ha un rapporto molto sincero e bello. Durante una vacanza estiva (il film si divide in stagioni, non proprio un’idea originale) conosce il tedesco Felix e con lui decide di perdere la verginità, senza però grande entusiasmo. Siamo nella più volte citata modalità della fighetta francese imbronciata, ma in questo caso con ambizioni di universalità: quale adolescente si diverte quando si trova in famiglia? Non ne abbiamo mai conosciuto uno o una, a prescindere dalle generazioni…

Comunque al ritorno a casa Isabelle si iscrive a un sito di escort e inizia a fare incontri: tutti sembrano dare questa importanza sacrale al sesso, ma lei non ne è conquistata. Non disprezza gli uomini, nemmeno quelli a volte squallidi che la pagano 300 euro a botta, ma non li capisce così come non capisce i tristissimi inganni della vita quotidiana. In questo quadro prostituirsi è senz’altro un grido di libertà e di indipendenza, almeno agli occhi di sé stessa. Riesce a conciliare tutto, in fondo anche le persone vicine vedono soltanto ciò che vogliono vedere, ma la situazione precipita quando uno dei suoi clienti schiatta, bombatissimo di Viagra. Interviene la polizia, eccetera, stoppiamo lo spoileraggio (non è comunque un giallo). Di culto l’apparizione di Charlotte Rampling, vedova del cliente, ma a contare in questo film del 2013 sono soprattutto le implicazioni psicoanalitiche: fra padre assente e madre formalmente presente, c’è tutto un alternarsi di figure succedanee che fa riflettere non sulla crisi dei valori dell’Occidente, come magari scriverebbe chi sogna la propria figlia con il burqa (anche molti padri cristianissimi o laicissimi inconsciamente lo fanno), ma sulla libertà di scegliere. Marine ha molti problemi ma è libera. E i soldi se li è guadagnati: non glieli hanno dati un marito, un padre, un partito, una chiesa, uno stato. Si scrive Marine ma si legge Marianne.

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