Giochi della vecchiaia

26 Agosto 2009 di Stefano Olivari

Il dibattito generato dalla presenza modesta dell’atletica italiana a Berlino ha permesso di leggere sui giornali le ricette più varie, condite dall’inevitabile effetto nostalgia. Soprattutto per quanto riguarda quel formidabile meccanismo di selezione che furono i Giochi della Gioventù, esaltati non da vecchi bacucchi ma anche da campioni emergenti come Giorgio Rubino. Di qualche giorno fa è la lettera alla Gazzetta scritta dal marciatore romano, quarto nella 20 chilometri ai Mondiale, ma praticamente chiunque ha un ricordo personale, da spettatore o da mediocrissimo atleta, almeno delle gare scolastiche che poi avrebbero portato i migliori alle selezioni provinciali e quelli davvero bravi alle finali nazionali. Non abbastanza per diventare un misto fra Giamaica e Kenia, ma il giusto per creare un minimo di attenzione. Nati dalle idee di un gruppo di dirigenti illuminati fra i quali Bruno Zauli (l’inventore della Coppa Europa di atletica, che crudelmente morì prima della prima edizione, 1965, e di quella dei Giochi, 1968) e fortemente voluti dal padre-padrone del CONI Giulio Onesti, per quasi trenta anni sono stati il primo appuntamento agonistico vero per i praticanti under 15 di vari sport. Tutte le nostre medaglie olimpiche sono partite da lì. Per motivi finanziari l’ultima edizione vera è stata quella del 1996, ma dopo oltre un decennio di oblio abbiamo avuto in veste di accompagnatori la sfortuna di assistere ad una edizione del nuovo corso. A parte la dimensione provinciale e non agonistica del tutto, secondo la discutibile pedagogia del tutti promossi, un termine che potrebbe descrivere lo spettacolo odierno è ‘scampagnata’. Lo spirito agonistico dei vecchi Giochi è ai nostri giorni in parte ripreso dai Giochi Sportivi Studenteschi, ma chi segue poco l’atletica (e gli altri sport presenti: nuoto, tennis, pallavolo, eccetera) ne ignora l’esistenza.

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