Filippo di Edimburgo, il Novecento da co-protagonista

9 Aprile 2021 di Stefano Olivari

Il principe Filippo di Edimburgo, marito della Regina Elisabetta, è morto a quasi 100 anni di età e chiunque, non solo gli spettatori di The Crown, sa quanta storia abbia attraversato. Senza farne un santo o un padre-marito modello, cose che senz’altro non era, stiamo parlando di un uomo intelligente, pieno di contraddizioni e affascinante, che ha interpretato bene il suo ruolo e vissuto da co-protagonista (non stiamo parlando di Churchill) il Novecento, nonostante il ruolo di principe consorte non fosse facile.

Il Novecento, dicevamo. I suoi genitori si conobbero non su Tinder ma al funerale della regina Vittoria nel 1901: era ancora un mondo in cui le monarchie, più o meno costituzionali, erano normali. Sua madre Alice era pronipote appunto della regina Vittoria, suo nonno era il re di Grecia, sua prozia Ella fu assassinata insieme allo zar russo dai bolscevichi a Ekaterimburg, e chissà quanti altri legami dimentichiamo. Come un discendente di mille popoli, ma soprattutto di greci e tedeschi, sia stato così profondamente e perdutamente inglese (da ricordare che ruppe i rapporti con le sorelle per le loro simpatie naziste) è un mistero che Filippo si è portato via con sé: di certo è stato della famiglia reale il più consapevole (dopo sua moglie, ovviamente) dei doveri imposti dalla Corona.

Quando aveva appena un anno lui e la sua famiglia furono prelevati da un cacciatorpediniere britannico dalla loro casa di Corfù, dopo che suo padre era stato condannato a morte, e portati in Italia in vari luoghi: lui in varie interviste ha spesso ricordato con affetto Brindisi. Poi qualche tempo a Parigi, la pazzia della madre, la fuga del padre Andrea a Monte Carlo con l’amante, le sorelle nella Germania hitleriana, lui in un collegio scozzese, il durissimo Gordonstoun, poi con l’amore per il mare esaltato dagli anni in guerra come ufficiale della Marina.

Non solo un tagliatore di nastri, Filippo: con decenni di anticipo, già negli anni Cinquanta, sosteneva che il futuro della Gran Bretagna sarebbe dovuto essere legato a cultura, finanza, ambiente, ma soprattutto tecnologia, non più basato sull’industria pesante né tantomeno su un colonialismo di cui lui e la Regina hanno vissuto con dignità la smobilitazione. Concetti in fondo non lontanissimi da quelli espressi, peggio, dal suo primogenito Carlo. Insomma, il Novecento da co-protagonista, stando al proprio posto.

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