Fermare Pechino, morire per Taiwan

30 Marzo 2022 di Stefano Olivari

Quanto sta accadendo in Ucraina va al di là delle situazione specifica e pone domande che danno fastidio a tutti, dal guerrafondaio al pacifista. Per noi è stato quindi impossibile leggere Fermare Pechino – Capire la Cina per salvare l’Occidente senza legarlo all’attualità. Il lavoro di Federico Rampini è stato pubblicato da Mondadori nel settembre del 2021 e da allora molte cose sono cambiate, ma di sicuro non è cambiata la domanda di fondo: quali guerre sono giuste? Con la inevitabile sottodomanda provinciale: cosa ci conviene fare?

Il giornalista del Corriere della Sera, uno dei pochi ospiti dei talk show ad avere uno spessore (per non andare troppo lontani: qualcuno ricorda non diciamo un articolo, ma una frase dell’attuale direttore del Corriere della Sera?), racconta una Cina meno conosciuta rispetto ai discorsi di Xi Jinping e ai numeri di alcune grandi aziende tech. Un paese dove lui ha vissuto e dove ha potuto rendersi conto dei motivi di successo, ma anche di fragilità, di un sistema che a noi appare come monolitico e che quindi si presta molto al tifo, pro o contro.

Interessante la sua analisi del razzismo cinese, con l’etnia Han a dominare e a difendere il proprio dominio attraverso strumenti inimmaginabili per il più razzista degli occidentali. Con l’equilibrio che si regge anche su un profondo razzismo interno, di tipo sociale, con la residenza che rimane quella originaria e quindi i cinesi delle campagne che arrivano nelle città soltanto come semi-schiavi, con meno diritti di quelli di città e nessuna prospettiva di miglioramento. Veri e propri paria, dei quali non si può nemmeno parlare. A colpire non è tanto il razzismo, diffuso in tutto il mondo, ma la sua teorizzazione.

Altro capitolo pieno di spunti è quello sulla riscoperta del maoismo, senza nemmeno troppo rivederlo. Una scelta non scontata, perché da Deng in poi la Cina sembrava puntare in un’altra direzione, ma giustificata dal desiderio di tenere unito un paese attraverso miti fondativi che superino le logiche consumistiche occidentali e di una classe media cinese senz’altro diversa da quella di qualche anno fa. Fra l’altro Xi del maoismo ha conosciuto le diverse facce, con un padre prima vicino a Mao e poi fra le vittime di quella rivoluzione culturale che anche in Italia ebbe tanti ammiratori (che sarebbero stati i primi ad essere spediti in un campo di lavoro). Insomma, discorsi ben diversi da quelli di Jiang Zemin e di Hu Jintao, e curiosamente simili a quello dell’arcirivale Bo Xilai, ora all’ergastolo (o forse peggio, non si sa), vera e propria vita parallela alla sua.

Come per tutti i libri giornalistici, ci piace leggere cose che NON sapevamo prima e fra queste c’è senz’altro il boom della fantascienza cinese, con i suoi autori di culto ed i suoi sottili codici per aggirare la censura. Ma la grande questione è ben sintetizzata da Rampini nel titolo di un capitolo: morire per Taiwan? Stiamo parlando di una delle prime economie del mondo e di quella che fino agli anni Settanta era considerata la vera Cina. Da più di mezzo secolo, dal 1971, è in uno stato di indefinitezza e non c’è dubbio che prima o poi Pechino tornerà all’attacco, visto che il dogma della Cina unica per Xi non è minimamente in discussione. A complicare le cose c’è anche il fatto che Taiwan (cioè la Repubblica di Cina, mentre la Cina più famosa è la Repubblica Popolare Cinese) sia riconosciuta da pochissimi stati e che sia fra l’altro leader in settori strategici. La Terza Guerra Mondiale, spesso evocata, potrebbe scoppiare lì. Anche se è più probabile che qualche azzeccagarbugli occidentale o l’ANPI della situazione trovino un escamotage legale per lasciar fare al più forte.

In definitiva un libro pieno di spunti, anche sull’autoflagellazione statunitense e occidentale, tipica delle democrazie ma non per questo meno pericolosa. Rampini è fra i non molti ammiratori di Biden, ritenendolo (secondo noi a ragione) uno dei pochi leader del Partito Democratico capace di rivolgersi agli elettori di Trump senza quella spocchiosità di classe che è stata alla base, insieme ad altri fattori, del successo tuttora in essere del trumpismo. Fra i plus di Biden anche quello di avere compreso, come il suo predecessore, il pericolo cinese. Ma comprenderlo non significa avere le armi, prima di tutto culturali, per combatterlo. Per le democrazie una nuova grande sfida, soprattutto contro i loro nemici interni. Ma questo è il tema dell’appena uscito Suicidio occidentale. Non ci sono troppi studenti a protestare di fronte alle ambasciate russe e la facile previsione è che non ce ne sarà nessuno a protestare contro quelle cinesi, mentre gli economisti alle vongole e tanti traditori prezzolati esaltano l’efficienza dei modelli autoritari.

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