Da Auschwitz al Commodore 64

10 Aprile 2012 di Stefano Olivari

We need to build computers for the masses, not the classes, questa la frase più famosa di un uomo poco portato per gli slogan epocali. La recente scomparsa di Jack Tramiel ci esenta dallo scrivere che era un maestro di giornalismo, anche perché per sua fortuna non era un giornalista ma una persona che con il Commodore 64 ha reso meno triste il mondo, in maniera non dissimile da quanto fatto da Steve Jobs con il Mac. E senza nemmeno tirarsela da guru. Tramiel non era un tecnico e nemmeno un designer, ma un imprenditore americano che aveva iniziato negli anni Cinquanta con le macchine per scrivere ed aveva raggiunto il successo con i calcolatori.

Come forse tutti sanno, la genialata di marketing fu quella di posizionarsi in un mercato a metà fra utilità e gioco, prima con il Vic 20 (un milione di pezzi venduti) e dopo con il Commodore 64 (sette) che di fatto ne era l’evoluzione. Lasciò la sua Commodore all’apice del successo, o meglio fu accompagnato all’uscita (altra analogia con Jobs) nel 1984, rientrando nel mondo dei sogni con l’acquisto di una Atari in stato prefallimentare ma non riuscendo di fatto più a rilanciarla. Inutile ricordare cosa sia stato il Commodore 64 per una fascia di età vastissima (tutti i nati dal 1965 al 1975) del mondo ai tempi occidentale, meno inutile ricordare l’inizio della vita di Tramiel. Ebreo polacco (nome originale Jacek Trzmiei), di Lodz, nato nel 1928, dopo essere cresciuto in mezzo alla tradizionale ostilità cattolica, almeno del cattolicesimo di quei tempi, per gli ebrei a 11 anni fa la conoscenza del nazismo, con la Germania che conquista la Polonia e la famiglia che dopo un periodo nel ghetto di Lodz viene mandata ad Auschwitz. Il bambino e i genitori vengono visitati da Josef Mengele in persona, non da Gregory Peck, ma la loro buona salute gli evita la camera a gas. In mezzo a mille (anzi, sei milioni) di atrocità la famiglia Trzmiei sopravvive, ma la guerra è troppo lunga: il padre muore di tifo, lui viene trasferito nel campo di concentramento di Ahlem. Nell’aprile del 1945 arrivano gli americani e per fortuna non è una metafora: l’84esima divisione di fanteria (quella dove aveva combattuto, con il grado di capitano, un giovane Abraham Lincoln) ridà la libertà a quel che rimane di qualche centinaio di persone, fra le quali il diciassettenne Jacek. Che raggiunge in qualche modo gli Stati Uniti, diventa Jack, si arruola nell’esercito che lo ha liberato e diventa bravissimo nel riparare macchine per scrivere.
Twitter @StefanoOlivari

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