Il cane nella borsa

11 Giugno 2013 di Dominique Antognoni

Peccato, perché poteva essere una serata coi fiocchi. Ieri sera un noto albergo milanese ha ospitato un evento davvero pimpante, proponendo le idee di  alcuni chef stellati. Dai, facciamo un po’ i fenomeni: stracciatella con scorza di limone caramellata e vitello con fiocchi di carbone. Ma non vogliamo tediarvi con ricette e inchini, per il batter di mani e applausi al commando ci sono i giornali nazionali e gli adulatori di corte e di mestiere. Già che ci siamo: gli adulatori al commando sono più di quello che potete immaginare e, aspetto che ti urta, sono fastidiosi oltre ogni misura. Genuflessi davanti agli chef e direttori di ristorante, acidi e superiori nei tuoi confronti che mangi pizza e pasta come un comune mortale. Per due pezzi di carne gratis scrivono perfino che gli chef sono le nuove rockstar e altre del genere. Magari sono gli stessi che gridano all’impossibilità di fare in Italia del giornalismo anglosassone (sarà perché siamo in Italia?), ma pazienza. Insomma, tutto andava per il verso giusto: Milano al suo meglio-peggio. Poi all’improvviso è arrivata lei. Russa, alta, snob, capelli raccolti (le hanno detto che fa meno escort), non bellissima (a casa sua sarebbe passata inosservata). Fin qui, la norma. Accanto a lei un babbione milanese, leggermente ridicolo e simpaticamente compiaciuto, paffuto e attempato. Anche qui, nulla da dire: ognuno porta la sua croce. Ma vedere spuntare dalla saccoccia di lei un cagnone ci ha fatto venire l’orticaria. Certo, la saccoccia costava alcune migliaia di euro, ma sono dettagli (lontani i tempi della busta di plastica dove si portava sia la spesa sia il costume da bagno, ammesso che la spesa si potesse fare). Per lei,  giovane bionda che da piccola sognava la Coca Cola e ora la sdegna (è da buzzurri e poi le bollicine ingrassano, quelle dello champagne invece no…), il cagnolino portato in giro è una specie di passaporto per l’alta società, un segno di bon ton. Inutile dire che la povera creatura (il cane, non la russa) poco amava l’evento. A lei serviva farsi vedere come amante degli animali: ha capito che a Milano è segno di civiltà, ma non che nessun amante degli animali costrimgerebbe il suo cane a stare nella borsa. Ma avere un cane piccolo è una specie di passpartout. Che fa chic, che in qualche modo nobilita. Ha copiato dalle sciure del centro, scimmiottando in maniera patetica un’abitudine già fuori dal mondo. Il cagnone nella saccoccia, i tacchi a spillo nel prato, forse anche il mignolo alzato quando ha in mano una tazzina. In più ci guardava altezzosa, quasi la stessimo infastidendo. Il fastidio era comprensibile, capiva che noi capivamo: essere in quel posto, dove un italiano con il senso del ridicolo (non i giornalisti enogastronomici, quindi) non metterebbe piede, per ‘noi’ voleva dire in qualche modo avercela fatta. Morale? Nella vita ha vinto lei: chi ha perso è il cane, costretto a vivere in saccoccia. Meglio che in un canile, ma peggio che in tante altre situazioni. In pareggio invece il bilancio del babbione: due minuti (esagerando) di godimento quotidiano pagati cari, senza contare gli alimenti per la prima moglie, più l’obbligo di essere ‘interessante’ e di fare una vita sociale che chi è cresciuto nell’Unione Sovietica comunista, per non citare la solita Romania, considera esaltante.

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