Aalbers senza radici

5 Marzo 2008 di Alec Cordolcini

1. Campionati diversi, stesso destino; Vitesse e Beveren sono sommersi dai debiti ed entrambe le società potrebbero chiudere definitivamente i battenti al termine della stagione. Il Vitesse ha un debito di 27 milioni di euro, 11 dei quali con la sola municipalità di Arnhem, che già in passato era intervenuta per salvare i gialloneri dalla scomparsa. Secondo il quotidiano De Telegraaf solamente un nuovo intervento dell’amministrazione locale (a quanto pare poco probabile, dal momento che proprio il suddetto ente è stato uno tra i pochi creditori – sono 62 in totale – ad aver rifiutato il programma di risanamento proposto dalla dirigenza del Vitesse) potrebbe tamponare una situazione che resta comunque difficile. Esattamente come quella del Beveren, dove una cordata di ex-giocatori sta tentando di raccogliere fondi per evitare che il club, attualmente militante nella Tweede Klasse (la Serie B belga), dichiari bancarotta. Benché esponenti del cosiddetto calcio di provincia, entrambi i club rappresentano un pezzetto di storia dell’Olanda e del Belgio pallonaro. Il Vitesse è una delle società più antiche della Eredivisie (è stato fondato nel 1892, il nome deriva da un balletto), il Beveren ha vinto due titoli nazionali (la prima volta con in porta il mitico Jean-Marie Pfaff). All’inizio del nuovo millennio tutte e due le società si sono misurate con progetti tanto ambiziosi quanto, per diverse ragioni, fallimentari.
2. Del Beveren ricordiamo tutti il progetto-Academie promosso dal francese Jean-Marc Guillot. L’idea era quella di creare in Europa una colonia di giocatori provenienti dalla più famosa scuola calcio africana, l’ASEC Mimosas di Abidjan; partirono per le Fiandre Orientali, tra gli altri, giocatori quali Gilles Yapi Yapo, Arsène Né, Yaya Tourè e Zézéto, seguiti nelle stagioni successive da Emmanuel Ebouè, Arthur Boka, Bakari Konè, Romaric e molti altri. Un esperimento interessante che però pochi tifosi capirono; la maggioranza infatti osteggiava apertamente la filosofia all-blacks di Guillou, accusato da parte della stampa locale di essere un “moderno negriero”, e ovviamente non sono mai mancate frasi e cori razzisti da parte dei più facinorosi. Eppure il calcio che si vedeva al Freethiel Stadion, ancorché acerbo, era spumeggiante e ricco di idee, con tanto di finale di Coppa di Belgio raggiunta (e persa) contro l’Fc Bruges. Certamente poi non si può prendere di costruire i palazzi con un manipolo di apprendisti, o forse si, almeno secondo la dirigenza del Beveren, che nel comunicato di licenziamento di Guillou e del suo staff parlava di “risultati poco soddisfacenti”. Una volta tornato “fiammingo” e depurato dall’africanismo spinto, il club è immediatamente retrocesso. Oggi, con in panchina un mito del calcio belga quale Alex Czerniatynski a cavar sangue dalle rape, siamo arrivati alla raccolta fondi.
3. E adesso torniamo al Vitesse. Karel “Sugar Daddy” Aalbers, broker nonché console onorario dell’Uzbekistan, aveva un sogno: vedere finalmente la squadra della sua città di origine, Arnhem, mettere un trofeo in bacheca. Come già detto il club è uno dei più antichi dell’intera Olanda, ma nei suoi 110 anni di storia ha raccolto solamente le briciole. Anzi, a pensarci bene nemmeno quelle: qualche vittoria nei campionati regionali nel periodo anteriore alla Seconda Guerra Mondiale, tre finali scudetto (regolarmente perse) nei primi anni del secolo e tre finali di coppa nazionale (1912, 1927, 1990) il cui esito è facile da immaginare. Karel Aalbers è uno che pensa in grande, e quando nel 1984 assume la presidenza di un Vitesse a forte rischio di bancarotta il suo obbiettivo non è quello di donare uno spicchio di gloria alla società giallonera, né di regalarle una stagione da “regina per una notte”; lui vuole di più, lui vuole vedere il Vitesse combattere ad armi pari con Ajax, Psv Eindhoven e Feyenoord, lui vuole che la sua squadra diventi una big del calcio olandese e, perché no, europeo. Per far questo ci vogliono soldi, tanti soldi, e Aalbers non esita a mettere a mano al portafoglio. Dal 1986 al 1999 il budget del Vitesse viene incrementato da 360mila a 26 milioni di euro, gli sponsor da 10 diventano 400, la media spettatori da 8mila si innalza fino a 23mila, la squadra si riempie di giocatori di livello (tra i quali ricordiamo Pierre van Hooijdonk, Nikos Machlas, Dejan Stefanovic, Edwin Zoetebier, Michel Kreek, Philip Cocu, Roy Makaay e Sander Westerveld). I tifosi lo adorano, la stampa lo accusa di megalomania, caricature e barzellette su di lui si sprecano, ma Aalbers tira dritto ed annuncia la costruzione di uno stadio ultramoderno dotato manto erboso “ritirabile” (ovvero può essere tolto in caso di concerti o altri eventi non sportivi), sofisticato sistema di riscaldamento del campo, 28mila spettatori di capienza. Viene così inaugurato, il 25 marzo 1998, il Gelredome, il quarto stadio più grande d’Olanda ma anche la tomba della ambizioni di questo Berlusconi in salsa olandese gonfio di ambizioni ma limitato nel portafoglio. I nodi non tardano a venire al pettine; negli anni della gestione Aalbers il Vitesse inanella una serie di terzi, quarti e quinti posti che portano consensi ma non trofei, sfiora la Coppa d’Olanda nel 1990 (persa 1-0 contro il Psv Eindhoven dopo che una della icone del club, John van den Bom, aveva fallito un calcio di rigore negli ultimi minuti di gioco) e non sfonda nemmeno in Europa, raggiungendo come miglior piazzamento il terzo turno di Coppa Uefa. Il fallimento non riguarda però solamente il profilo sportivo, bensì anche quello finanziario; il progetto Gelredome ha infatti prosciugato le casse del club, molti giocatori sono stati pagati in maniera sproporzionata rispetto al loro reale valore e sono quindi invendibili, ed in più Aalbers finisce sotto processo per frode, evasione fiscale e falso in bilancio. Il collasso è totale, il Vitesse resta senza dirigenza e se oggi si trova ancora nel calcio professionistico lo deve al già citato intervento dell’amministrazione comunale di Arnhem, che nel 2003 acquista il Gelredome, salvo poi rimetterlo in vendita due anni dopo per problemi di bilancio. Infinite le toppe apposte sul Titanic di Arnhem, che però continua a imbarcare acqua. Prossimamente sul fondo dell’oceano.
4. Quando il Vitesse lottava contro i mulini a vento alla ricerca di un’effimera grandezza il Groningen allevava nel proprio vivaio due rampolli di luminosissime prospettive destinati a diventare, assieme a Clarence Seedorf, gli under-20 olandesi più costosi di sempre nella storia dei trasferimenti interni della Eredivisie. Si chiamavano Arjen e Jordi, e all’età di 18 anni valevano già svariati milioni di fiorini. Il primo era un’ala alla Overmars, velocità e dribbling in un agile corpicino di gomma, il secondo un Dennis Bergkamp meno offensivo, anello di congiunzione perfetto tra centrocampo e attacco. Votati all’inizio del nuovo millennio giocatori dell’anno in quel di Groningen, finirono tutti e due nel Psv Eindhoven: Arjen nel 2002, Jordi nel 2003. Non potevano sapere che nella squadra della Philips le loro strade si sarebbero separate per sempre. Arjen Robben è diventato uno dei big del calcio olandese e oggi gioca nel Real Madrid (o almeno tenta di giocare, finché non arriva un macellaio del Recreativo Huelva a colpire duro un fisico già piuttosto fragile per natura), alle spalle un Mondiale e tre discrete stagioni al Chelsea. Jordi Hoogstrate ha invece deciso di appendere le scarpe al chiodo, dopo che nelle ultime quattro stagioni, due delle quali spese in prestito nell’Emmen, ha collezionato solamente 11 presenze a causa di una serie infinita di problemi fisici ma anche psicologici e psico-somatici. Il suo contratto con il Psv scadrà a giugno, lui si è già iscritto al corso per il patentino di allenatore. A 24 anni Robben “no corre bien” (recente titolo del quotidiano El Pais relativo all’ipotesi, sostenuta dallo staff medico delle Merengues, secondo cui i frequenti infortuni dell’ala di Bedum deriverebbero dal suo modo di camminare, che sottoporrebb

e i muscoli flessori della gamba ad una tensione eccessiva); alla stessa età Hoogstrate, l’amico fragile, non corre più.
5. Utrecht-Psv Eindhoven è stato l’incontro clou del week-end olandese, con la compagine di casa che battendo 3-1 il Psv ha riaperto il campionato, un “vizietto” quest’ultimo che aveva già palesato la scorsa stagione quando, fermando lo stesso club di Eindhoven sul pari alla penultima di Eredivisie, aveva lasciato i giochi in bilico fino ai novanta minuti finali (Az, Ajax e appunto Psv erano racchiusi in un solo punto), regalando un epilogo ad alto tasso emozionale. Squadra delle terre di mezzo, l’Utrecht (unica società, assieme alle tre big, a non essere mai retrocessa in Eerste Divisie), troppo forte per retrocedere e troppo debole per poter infastidire le grandi, una storia all’insegna di un anonimato che può essere grigio o dorato a seconda della stagioni. Nel primo caso in bacheca trovano posto, a sorpresa, Coppe e Supercoppe d’Olanda (annate 2003-2004, con Kuijt, Van den Bergh, Douglas, Schut, Tanghe), nel secondo ci si crogiola nella mediocrità tentando magari di lanciare qualche giovane. Quest’anno ci troviamo più vicini alla seconda opzione, con una squadra costruita in sede di mercato sul 4-4-2 di Foeke Booy ma affidata poi in estate al 4-3-3 di Wim van Hanegem, con tutte le difficoltà del caso (vedi il talento sprecato del figlio d’arte Kevin Vandenbergh, scappato appositamente da Genk alla disperata ricerca di un modulo a due punte). Eppure quando si tratta di fare uno sgambetto a qualche prima della classe ad Utrecht non ci si tira mai indietro. L’Ajax, rivale storica e odiatissima del popolo del Galgenwaard, sentitamente ringrazia.
6. Chiudiamo proprio con gli ajacidi, o meglio, con Johnny Heitinga, che Radio Olanda vota giocatore del mese. Tra mille difficoltà, dirigenza in stato di smobilitazione e squadra zavorrata da flop, l’Ajax è sempre lì, a una manciata di punti dal ben più placido Psv. Merito di personaggi quali Huntelaar o Heitinga, tifosi ancor prima che giocatori, cuori che continuano a battere anche quando le gambe non reggono più. Ieri sopravvalutato (a ragione), oggi titolare inamovibile della nazionale (sempre a ragione); Johnny Heitinga forse sta davvero diventando grande. Di seguito la top 11 di febbraio: Gomes (Psv Eindhoven); Nalbantoglu (Nec Nijmegen), Heitinga (Ajax), Zwaanswijk (Nac Breda), Vertonghen (Ajax); Luijckx (Excelsior), Honda (Vvv Venlo), Lovre (Groningen), Pranjic (Heerenveen); Berg (Groningen), Lens (Nec Nijmegen).

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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