A chi serviva Teofilo Stevenson

18 Giugno 2012 di Libeccio

Quando la notizia si è sparsa per Cuba le strade si sono riempite di gente di ogni età in lacrime. Era il mito ad essere scomparso. Uno dei miti buoni di Cuba. Parzialmente falso (soprattutto per quanto riguarda la vita privata), come tutti i miti, ma non per questo meno importante nella storia dello sport. Ci sono cose che gli umani normali non vedranno mai e mai saranno in grado di fare. Uno di quelli capaci di viverle, queste cose, è stato Teofilo Stevenson.

La sua frase più celebre: “Cosa sono cinque milioni di dollari in confronto all’amore di 8 milioni di cubani?”. Frase antica ed al tempo stesso attuale. La pronunciò negli anni Settanta, in risposta al progetto di farlo incontrare contro il grande Muhammad Alì per un match dai significati immensi, che sarebbero andati ben oltre il ring. Stevenson è morto a Cuba all’età di sessanta anni, stroncato da un infarto. Vinse l’oro alle Olimpiadi di Monaco 1972, Montreal 1976 e Mosca 1980, non potè fare poker a Los Angeles per via del noto boicottaggio dei paesi del blocco sovietico in risposta e quello americano di 4 anni prima a Mosca. Disputò 321 match vincendone ben 302, ma il suo nome resta indissolubilmente legato al grande rifiuto del confronto con Alì.

Una scelta da leggersi nel contesto dell’epoca, in piena Guerra Fredda. Con lo sport ad assumere significati anche agli occhi di chi non lo seguiva, dal pugilato di Stevenson all’atletica di Juantorena. Ma al di là delle implicazioni politiche, quella cubana era una scuola sportiva e pugilistica straordinaria: un misto di velocità, potenza, eleganza e tecnica. Ed anche coloro che erano passati al professionismo (uno di questi fu Josè Napoles, avversario storico di Monzon) non avevano mai sfigurato. Agli americani serviva uno scontro che potesse decidere una volta per tutte la supremazia in campo pugilistico. Loro che a quel tempo avevano una generazione di campioni nei pesi massimi probabilmente irripetibile: Muhammad Alì, Joe Frazier, George Foreman, Ken Norton. Non c’era di meglio di uno scontro di supremazia ai livelli più alti, sul ring, di forza, di quelli che avrebbero catalizzato la popolazione di mezzo mondo, con ricadute economiche strabilianti.

Nel 1976 Stevenson ha appena vinto i Giochi di Montreal, Alì non è più quello di qualche anno prima ma è pur sempre un fuoriclasse. Per il colosso cubano si sarebbe trattato di togliere la canottiera, ma anche di passare dai tre round da tre minuti alla maratona senza pietà dei quindici round. Disse di no, fu fedele a Fidel Castro e al popolo cubano, conquistò per sempre  agli occhi dei connazionali quell’immortalità non scalfita neanche dal destino che lo ha portato vie prematuramente. E tutto questo oltre la politica, anche se da Castro e castristi Stevenson fu strumentalizzato per proporre all’estero il volto ‘buono’ del regime. Ma, in ultima analisi, quale campione dello sport non viene strumentalizzato?

A fine carriera Stevenson divenne allenatore del programma cubano di pugilato dilettantistico e vice presidente della Federazione cubana di boxe. Con gli anni diventò anche amico di Cassius Clay-Muhammad Alì, al punto di accompagnarlo nel suo tour cubano fra incontri con Castro e bagni di folla. Schema non proprio inedito, nelle dittature, ma perché funzioni ci vuole gente del livello dei Maradona. Molti nel 1976 dissero che Joe Frazier o Alì avrebbero stritolato Stevenson e solo per questo il pugile cubano avrebbe rinunciato all’incontro. Forse Teofilo non ce l’avrebbe fatta, sui quindici round. Ma oggi a chi importa saperlo? Di sicuro solo lo sport sa, ancora oggi, regalare ancora figure ai confini della leggenda a noi che abbiamo bisogno di miti per sopportare meglio la realtà.

Libeccio, 18 giugno 2012

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