Un padre, una figlia e la raccomandazione che ci insegue

19 Ottobre 2016 di Stefano Olivari

Tutti prima o poi abbiamo a che fare con le raccomandazioni, le più soft pubbliche relazioni o l’eterno ‘saperci fare’, solo che di solito ce ne accorgiamo e ne parliamo quando i raccomandati sono gli altri. Un tema quasi tabù, non soltanto al cinema, perché a tutti, soprattutto a chi bara, piace credere di avercela fatta con le proprie forze e che la raccomandazione o lo scambio di favori siano stati soltanto un mezzo per difendersi dai furbi. Lo stesso concetto del corridore che dice “Erano tutti dopati, quindi ho vinto perché sono più bravo”. Ma sono/siamo tutto dopati? In Un padre, una figlia Cristian Mungiu pone domande scomode ma senza moralismi, giocandosela su più piani. Ambientato a Cluj e in realtà intitolato Bacalaureat (in romeno è il diploma liceale), il film è la storia di una famiglia in cui i genitori insegnano all’unica figlia i propri valori giovanili, quelli che li hanno spinti a tornare in Romania dopo la caduta di Ceausescu: l’onestà, il merito, l’impegno, il contare solo sulle proprie forze in un paese finalmente libero dalla cappa del partito-Stato. Valori che pur nella disillusione hanno conservato: lui è un medico che cerca di stare alla larga dagli intrallazzi (bellissime le scene in cui evita i regali dei pazienti, scene viste più volte anche in luoghi a noi familiari), lei una bibliotecaria: fra di loro sono in crisi, ma sono più preoccupati dal mondo che li circonda che dal loro privato. Avrebbero potuto fare di più, ma superati in cinquanta anni si accontentano e visto che è impossibile cambiare una mentalità radicata crescono la figlia nel mito della fuga all’estero, verso un’Inghilterra idealizzata dove non esisterebbero raccomandazioni, intrallazzi, addirittura neppure gente che tira i sassi alle finestre o al parabrezza delle auto. Il problema è che prima dell’esame di maturità la ragazza subisce un’aggressione, che le impedisce di dare il meglio e ottenere i voti necessari per l’ammissione a Cambridge. A questo punto il padre si pone il problema del fine che giustifica i mezzi, chiedendo e non chiedendo favori per sistemare i voti, vedendosi tornare addosso quasi in automatico richieste per situazioni (un trapianto, un ricovero) in cui ad avere il piccolo potere decisionale è lui. L’obbiettivo di una vita onesta e senza scambi di favori può essere raggiunto proprio attraverso lo scambio di favori? Risparmiamo la recensione del film, nella nostra modestia il migliore visto al cinema nel 2016, ma il tema è davvero importante e la prova è che viene rimosso da tutti. Quanti onesti giornalisti o impiegati hanno avuto il loro posto grazie a una raccomandazione, magari dimostrando il proprio valore (è la linea difensiva tipo) senza pensare che il crimine non è quello di essere incapaci ma il togliere un’opportunità ad altri? Un sistema autogiustificatorio che in certe situazioni pubbliche o parapubbliche (l’università, ad esempio) è necessario per non sputarsi in faccia guardandosi allo specchio. Un’ultima cosa: personalmente siamo convinti di non avere mai beneficiato di raccomandazioni, ma lo pensa il 99% di noi e questo dimostra la gravità del problema.

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