Spiccioli che servono a Mediaset

15 Aprile 2009 di Stefano Olivari

I discorsi sul Milan che non è quello di una volta perché Berlusconi non vuole più metterci i soldi sono un po’ quelli del bar, ma al bar a volte hanno ragione. Anche se il presupposto è sbagliato: non è che il presidente del Consiglio si sia stancato della squadra e del suo potenziale di propaganda, e meno che mai i suoi figli (o altri miracolati) gli hanno posto veti. Il problema principale si chiama Mediaset, che come altre grandi aziende italiane quotate in borsa ha visto le sue quotazioni crollare: meno di un anno e mezzo fa l’azione valeva 9,7 euro, adesso un terzo. La stessa proporzione ha ovviamente seguito il pacchetto dell’azionista di maggioranza. Nulla che impedisca di investire nel calcio, visto che qualche risparmio da parte c’è sempre e che un certo tipo di pagamenti (alla Lentini, per essere chiari) è nelle tradizioni sia del calcio italiano che del Milan berlusconiano. Il problema è che in questa fase servono anche gli spiccioli per difendere il bene più grosso, come potrebbe confermarci Italo Muti (in questo momento sta seguendo FedererSeppi sul posto e non ci risponde): insomma, a queste cifre Mediaset è scalabile. La conferma arriva anche dalla leggina ‘ad aziendam’ di cui parla oggi Repubblica, approvata mercoledì scorso dal Senato (in via definitiva) in pieno dramma Abruzzo. Sotto la voce ”Strumenti di difesa del controllo azionario delle società da manovre speculative” si sono introdotti provvedimenti che hanno l’obbiettivo di ”prevenire eventi di scalate ostili in una fase di mercato caratterizzato da corsi azionari molto al di sotto della media degli ultimi anni”. Provvedimenti che valgono ovviamente anche per Eni, Fiat, eccetera, come il tetto del 20% all’acquisto di azioni proprie (prima era il 10%, significa che sarà più facile consolidare le partecipazioni azionarie usando il patrimonio dell’azienda invece che il proprio), la possibilità per la Consob di ridurre dal 2 all’1% la soglia per l’obbligo di comunicazione sull’acquisto di azioni, e altre misure tese allo stesso obbiettivo. Poi non tutto è sporco, la difesa dell’italianità delle aziende può coincidere con quella degli interessi personali. Conclusione: i 200 milioni per il Messi della situazione, ammesso che sia in vendita, si potrebbero trovare, ma negli anni a venire le priorità saranno altre.

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