Quelli che l’Ottantadue

11 Luglio 2022 di Oscar Eleni

Oscar Eleni su una barca di salvataggio davanti al faro nello stretto di Rhode Island per salvarsi dalla piena di ricordi, perché, in mezzo ai cinque fiumi che arrivano alla baia di Narragansett, c’è anche quello che incenerisce chi non ha ricordi nobili, veri, qualificanti. Magari non il nostro  Mondiale di calcio dell’82, vissuto alla grande  fra Bilbao e Valladolid, sofferto il giusto nella gioia del Sarrià, chiuso nel Bernabeu ai piedi di Pertini che, mettendo quella notte fra i giorni migliori di una grande vita, mi fece sentire un tapino da sbarco, preso a legnate dalla milizia, che aveva condiviso nel sottoscala la partita di finale vinta sui tedeschi.

Niente in confronto alla risposta di Sofisti, grande timoniere del Giornale, sulla gioia presidenziale: “Si accontenta di poco”: Ma come? Non sentiva le trombe per strada, non respirava come noi quell’atmosfera da delirio capace di curare inflazione, povertà e tutto il resto? Forse aveva ragione lui. Forse. Mai prendere le cose troppo sul serio, anche se leggendo i commenti di oggi, pensando a quelli di ieri, viene un po’ da ridere come nelle notti passate  in terra basca con Beppe Viola che ci difese insieme ad  un collega francese ex rugbista da truci colleghi spagnoli che volevano il telefono prenotato in sala stampa giurando sulle loro Madonne che avevano chiesto prima loro.

Battaglie normali per gli inviati “nessuno” anche se si credevano Ulisse fra i Polifemo del momento. Noi li abbiamo sentiti, fra una scopa e l’altra, mentre minacciavano il povero Pisapia se non avesse trovato un posto sull’aereo di ritorno da Barcellona dove sicuramente Argentina o Brasile ci avrebbero eliminato. Per avere ragione dopo i funerali di Vigo, mentre c’era già chi sapeva del marcio in quel girone di qualificazione che ogni sera metteva Bearzot sotto il cappio calpestando le sue armonie jazz greco-latine. Verso Madrid prendendosi in giro, con Viola, fortunatamente, era sempre così, sale per pietanze anche disgustose, anche se aveva sbagliato come quando disse “Adesso si arrabbiano” alla fine del primo tempo contro il Brasile: 2-1 per loro, gli azzurri non più tenebrosi. Si arrabbiarono i verdeoro, ma  non  abbastanza.

Il resto è bolgia con il carro dei vincitori affollato ieri, super affollato oggi da chi ricorda di essere stato “al fronte”. Vale per il curriculum. Modestamente ci teniamo il ricordo della partita vinta a petanque contro i  colleghi francesi tornando da Valladolid. Per Beppe il primo segno del destino che andava oltre l’emiro invasore, il microfono Rai lasciato per una cerveza alla coppia Eleni-Virbere per raccontare il Platini ancora sconosciuto, quello che non sapeva chi fosse Infantino per fortuna sua e nostra perché goderselo era un privilegio non soltanto per la mente. Basta. Vanità per far sapere che eravamo in quella  festa? Magari. Sai i posteri poi dimenticano e mentre il tamburo batte lentamente è meglio  lasciare qualche cosa di scritto pur sapendo che le parole volano e gli scritti, purtroppo per molti, rimangono.

La barca ondeggia, siamo nell’America che “riscopre” il peggio cominciando dall’Alaska e noi sogniamo la Groenlandia raccontata da PIF. Siamo sulla strada-divano del Mondiale di atletica nell’Oregon, terra benedetta di Eugene, il regno del Prefontaine che ci faceva impazzire, che Mennea spiava domandandosi, più del professor Vittori che lo cercava nel campus scandinavo, come facesse ad andare così forte, bevendo così tanto. Eugene meravigliosa ai tempi dei crudelissimi trials americani, stupenda anche quando la Monteforte e le sue amiche americane volevano farci salire su una barca pronta a scendere fra le rapide e noi pensavamo al grande discobolo che per far felici i compagni aveva promesso di lanciare  oltre le finestre del dormitorio.

Eugene come santuario anche adesso che ospiterà il primo Mondiale americano della storia. Rischiando, ma anche pregando che vada come nel 1982, di fare la fine di quelli di Vigo vi diremo che ci aspettiamo poco o niente dalla Nazionale che ha stupito tutti a Tokyo passando da zero tituli al bagno nell’oro. Sacro e logico quello della marcia, straordinario quello combinato fra Jacobs e Tamberi, poi diventato zecchino con la 4×100 che adesso faremo fatica a rimettere insieme dopo troppi infortuni e qualche inganno come succede quando ti vogliono convincere che la pecunia non puzza mai.

Cara gente, il Mondiale dell’atletica è davvero una festa universale sportiva. Nessuna disciplina può portare nell’arena 1972 atleti maschi in rappresentanza di 192 paesi, 1000 atlete con maglie di 164 nazioni. Voi ci chiedete dei 100 con o senza Jacobs? Ah, saperlo. Si spera, si scommette, si fa confusione, di certo potrebbe essere finalista, più di Tamberi se la gamba di Gimbo resterà scollegata allo stacco dal campione, dal padre allenatore ripudiato e riammesso dalla parte della barba ben fatta dopo la lozione presidenziale, ma su quella striscia dovrà vedersela con 4 americani e campioni di ben 56 paesi. Certo non tutti fenomeni, ma insomma tanta gente.

I fiumi americani mormorano, figurarsi cosa succede dove ai successi italiani di Tokyo gridavano all’inganno, una malattia planetaria  fra i perdenti, come dimostrano i sospetti sul Nadal vincente nonostante lesione, sul Djokovic in rimonta e nuovamente campione di Wimbledon, una beffa no vax, come quella della kazaka nata a Mosca che da Alice sull’erba storica di un club inglese sapeva schivare la domanda politica ammettendo che l’inglese usato sul campo per omaggiare la tunisina battuta non era sufficiente per rispondere a domande politiche sulla guerra. Giornalisti mala gente, soprattutto adesso che si sospetta davvero che la stampa non sia al servizio dei governati, ma soltanto dei governanti. In ogni campo.

Mentre Leclerc guarda estasiato il podio in casa Red Bull scoprendo il giovane Schumacher, nel momento in cui Pogacar illumina il Tour assediato dal Covid e da una giuria che punisce corridori sfiniti se sporcano per strada, fingendo di non sapere che per la gola televisiva si tenta di massacrare chi, per resistere, poi, magari, esagera anche con gli aiutini. Tempo per mischiare le carte con pagelle dove non vi parleremo delle nostre belle nazionali di pallavolo, dove faremo finta di non aver sentito che i Giochi del Mediterraneo con tutti quelle medaglie italiane dimostrano la salute dello sport in un Paese ammaliato dal calciomercato. Oggi come nel 1982, dice il maghetto, per nulla depresso dopo due bocciature mondiali, per nulla sorpreso se l’Italia femminile all’inizio dell’europeo ha perso i sensi contro le perfide francesi più crudeli dei rugbisti georgiani contro l’Italia che pensavamo risorta dal miracolo contro il Galles.

10 A Pedro FERRANDIZ se con il suo amico RUBINI; magari al microfono celeste di Beppe Viola, avrà la pazienza di aspettare una prossima puntata, quando la racconteremo, la storia di due grandi uomini, sì, anche allenatori alla faccia di chi pensava il contrario, magari anche fra i loro giocatori. Se ne è andato a 93  anni il principe di Alcobendas, la Fondazione dove chi ama il basket può leggere di tutto. Sì, anche roba nostra, ma, come direbbero i sospettosi, scritta da o con altri.

9 A TARDELLI che in queste rievocazioni, come del resto ZOFF, ci  ha fatto capire come siano diversi i campioni veri da quelli che si masturbano in sala tatuaggio, che ci sfiniscono mentre spesso esagerano, loro e i loro famigli, ma questo succede in tutti gli sport appena hai successo.

8 Al BINOTTO generale ferrarista che deve avere fatto molte ore nei monasteri tibetani se riesce a nascondere il malessere per tanti errori, per tante smanie di un talento come Leclerc, se non brucia con la macchina di Sainz, se può dire di essere, fortunatamente, diverso da Ecclestone e da qualche signorotto di casa sua.

7 A PALTRINIERI che ha vinto anche nell’acqua non limpidissima di Parigi se riuscirà finalmente a staccare, restando lontano da copertine che, come si è visto, appesantiscono e ti portano allo sfascio se non hai passato ore come lui dove allenarsi è una cosa vera e faticosa, più utile di troppe interviste fra segugi noiosi.

6 Alla SLOVENIA di Pogacar e Roglic se porterà sul podio più alto nel lancio del disco il suo campione Kristjan Ceh, che spiega tante cose di un Paese, anche campione d’Europa nel basket, vivace in tantissimi sport, dove forse non sanno cosa sia la vera gloria visto che non  hanno provato il brivido dell’oro dei Giochi del Mediterraneo tipo quelli di Algeri.

5 A PLATINI, più del BLATTER mai amabile, se non troverà energie e parole giuste per andare a Canossa aspettando chi lo ha messo alla sbarra, chi gli ha rubato  anni in cui avrebbe potuto davvero aiutare il calcio ad andare oltre la VAR misteriosa di troppe partite.

4 Alla GAZZETTA, amatissimo liceo della nostra professione, Zanetti imperante, insegnante,  se non troverà differenza fra il giornale del 1982 regalato ai lettori e quello di oggi. Se non riesce citofoni al BECCANTINI, pure lui ex Gazaza, che ha scritto una delle rievocazioni migliori di quelle giornate per il Fatto.

3 Alla BERTOLINI eccellente guida della nazionale di calcio femminile se non passerà subito alla fase bearzottiana coincisa con il benedetto silenzio stampa scandito dalle sillabe di Zoff.

2 Alla Nazionale di rugby che ora ha convinto i georgiani, speriamo soltanto loro, che al Sei Nazioni il posto se lo meritano più i ragazzi di Tbilisi che quelli con la cipria visti perdere a Batumi.

1 A GANDINI, giustamente riconfermato alla presidenza della Lega basket fino al 2025, se non riuscirà a farsi spiegare bene il voto contrario di Milano e l’astensione della Virtus Bologna. Per fortuna, avendo giocato ad hockey, conoscendo le paludi del calcio, riuscirà a resistere a questa carica vicina alla balaustra.

0 Alla RAI che non si è presentata all’asta per  i diritti televisivi del basket. Dopo  le finali seguite e commentate così bene, dopo averci sfinito con le concomitanze delle 20.45 quando il calcio faceva milioni di ascolti lasciando briciole ai cestofili incalliti, pensavamo che, leggendo quanti campioni di altri sport considerano il basket come sollievo, passione, sentendo il borbottio della redazione, avrebbero rilanciato e non rinunciato.  Stupido è chi stupido fa.

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