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Queen Forever, non è ancora finita

Stefano Olivari 28/11/2014

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L’acquisto di Queen Forever, pochi giorni fa, ci ha imposto di farci una domanda: ma se hai tutti i dischi dei Queen, in qualsiasi forma (vinile, cd, cassetta, mp3) perché dovresti comprare l’ennesima (la dodicesima, contando soltanto quelle ufficiali) compilation? Dopo l’ascolto, il riascolto e un altro riascolto ci siamo anche dati la risposta: Queen Forever non è una compilation come tutte le altre, di quelle che raggruppano le più grandi hit in carriera secondo il gusto dei fan ossessivi, ma un disco con una sua identità e che comprende varie anime. Prima di tutto quella melodica di Freddie Mercury, prima ancora che dei Queen, soffocata spesso in nome del rock o delle contaminazioni operistiche con cui lo stesso Freddie era fissato. Dei 37 brani della Deluxe Edition almeno la metà può essere considerata melodica. Poi c’è un po’ dell’anima rock, evidenziata dalla scelta dei brani che esclude gli abusati inni We will rock you o We are the Champions (il testo peggio interpretato della storia della musica, quando l’abbiamo ascoltato in chiave celebrativo-retorica anche negli stadi inglesi ci siamo arresi) per andare su canzoni più ortodosse. Ovviamente non manca l’anima giocosa, che rivisita classici a volte enfatizzandone una caratteristica e altre stuprandoli (pessima Love Kills in chiave ballad). C’è l’inedito, Let me in your heart again (una delle canzoni escluse dall’album The Works, insieme a Love Kills che poi Freddie avrebbe inciso da solo), ma soprattutto c’è il duetto attirapubblico: Freddie insieme a Michael Jackson, che nel 1983 a Los Angeles canticchiano alcuni brani, fra cui questo There must be more to life than this (che Mercury canta da solo in Mr. Bad Guy), che pur robustamente remixato genera grandi emozioni, almeno al pari di una Bijou in cui la chitarra di Brian May palesemente imita David Gilmour. Fra esecuzioni pulite e giochetti da session in studio, con esclusioni giustificate e altre da fenomeni (Bohemian Rapsody), Queen Forever vale davvero quello che costa: omaggia il passato senza metterlo in una teca. Nonostante per forza di cose l’operazione sia stata portata avanti da May e da Roger Taylor (batterista ma anche lui autore di qualche canzone), visto che Freddie è morto nel 1991 e John Deacon da più di 15 anni vive semi-ritirato, il disco è abbastanza rispettoso degli equilibri autoriali interni della band, uno dei rari casi in cui nonostante un frontman mitico tutti siano importanti. Il giusto modo di scaldarsi in vista del concerto a cui assisteremo a febbraio, quando May e Taylor riproporranno parte dello sconfinato repertorio integrati dal bravissimo Adam Lambert, che lanciato qualche anno fa da American Idol ha totalmente lo spirito Queen e anche l’intelligenza di non fare imitazioni.

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