Patrizio Oliva, la boxe fatta con il cervello

17 Novembre 2014 di Paolo Morati

Il pugilato metafora della vita, dove contano molto la testa, le gambe e la velocità, più che la pura forza, e il vero campione è quello in grado di ripartire dopo una sconfitta. È questo uno dei messaggi che emerge da Sparviero (Sperling&Kupfer, 2014), l’autobiografia di Patrizio Oliva scritta insieme al nipote Fabio Rocco Oliva, un lungo e dettagliato viaggio nel percorso che ha portato un piccolo napoletano di origini calabresi a innamorarsi della nobile arte facendola sua osservando il fratello più grande Mario – nazionale italiano – che rientrava a casa dalla palestra Fulgor collocata in uno scantinato senza finestre e con i topi che scorrazzavano – fino alla conquista contro il rivale Serik Konakbaev dell’oro olimpico di Mosca nel 1980 (premiato anche come miglior pugile della competizione) e del titolo di Campione del Mondo dei superleggeri nel 1986 sconfiggendo Ubaldo Sacco. Nel mezzo il peso di una famiglia numerosa (cinque fratelli e due sorelle) e lacerata dal passato, eventi drammatici e violenti nel contesto della sua città, la forza di non mollare mai e la certezza incrollabile che un giorno sarebbe riuscito a diventare un campione.

Televisivamente (così come sportivamente) parlando, quella di Patrizio Oliva (gli anni Ottanta) è stata un’epoca d’oro per il ring, con le telecronache di Rino Tommasi che entusiasmavano sulle reti Fininvest: c’erano la potenza di Marvin Hagler e Thomas Hearns, lo stile rapido e aristocratico di Sugar Ray Leonard, la potenza estrema di Ray Mancini. E gli italiani Loris e Maurizio Stecca, e Francesco Damiani. E c’era anche Patrizio Oliva, più spesso protagonista delle riunioni trasmesse dalla RAI in diretta, con il commento di Paolo Rosi. I tempi in cui coi compagni di scuola si parlava anche di boxe, e si diceva “stasera c’è un match”. Uno stile particolare quello di Patrizio, caratterizzato da una estrema velocità di spostamento che – leggendo le dense e a tratti epiche pagine del libro – ci è ora apparsa più chiara nella strategia di cogliere l’attimo perfetto per sferrare il colpo, e fondata su questa regola: evitare la rissa, usare il cervello. Insomma uno stile per palati fini, meno di massa, mai a testa bassa, preciso e implacabile nello schivare e ripartire.

Allievo dei maestri Geppino Silvestri e Antonio D’Alessandro che avevano messo tutto l’entusiasmo possibile nel crescere in primis gli uomini e quindi dei buoni pugili, in Sparviero Patrizio Oliva celebra senza falsa modestia la sua storia e racconta il mondo circostante, ma insegna anche molte cose sulla boxe, sui personaggi decisivi di questa disciplina (tanti i campioni citati, da Muhammad Ali a Nino Benvenuti), sulla preparazione da fare, i movimenti corretti per darle e non prenderle, dove colpire e i punti più pericolosi. E racconta i suoi match più importanti, con quell’immagine dell’uccello rapace ben piantata in testa fin da bambino, per riuscire a mantenere la promessa fatta, ossia quella di diventare un campione salvaguardando nel contempo la sua faccia pulita nonostante gli ostacoli e un problema alla mano che puntualmente, proprio nel momento decisivo, era lì pronto a riemergere.

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