Economia

La mancanza dei Carlo Vichi

Fabrizio Provera 10/03/2014

article-post

«Alle 16.55 del 20 dicembre 2013 la Mivar ha prodotto il suo ultimo televisore. Il 5 febbraio 2014 Carlo Vichi ha compiuto 91 anni. Nessun imprenditore ha raccolto ancora il suo invito a utilizzare gratuitamente la nuova fabbrica per produrre apparecchiature elettroniche». E’ apparsa questa scritta, in sovrimpressione, sul finale del servizio che Rai 3 ha dedicato alla Mivar di Carlo Vichi.

Su Indiscreto vi abbiamo già raccontato, prima di molti altri, non sappiamo se meglio o peggio, la vicenda umana e industriale di Carlo Vichi da Abbiategrasso, provincia di Milano. L’industriale indomito, il produttore di televisori piegato dalla crisi, ma ancora sulla breccia –  seppur con un manipolo di circa venti persone, rispetto alle oltre 500 di un tempo – grazie ai circa 800 miliardi di lire in CCT che aveva depositato in una banca (locale..) sul finire degli anni Ottanta. Vichi non cede, ligio all’allure mussoliniana che non ha mai rinnegato: ha provato a lanciare una linea di mobili ergonomici, poi c’ha ripensato. Di recente infatti, dopo aver accolto nella sua fabbrica Mario Melazzini, assessore regionale lombardo all’Industria, s’è detto pronto a concedere gratis la sua nuova fabbrica (mai utilizzata) a qualunque imprenditore che assuma 1200 persone italiane, preferibilmente di Abbiategrasso.

Repubblica e Rai 3, però, non hanno raccontato come nacque quella fabbrica, ancora modernissima a distanza di 20 anni (fu edificata attorno al 1990). Costo di 100 miliardi di lire, pagato interamente con i soldi di Vichi e non di qualche banca (quindi indirettamente del contribuente, fra ‘bad bank’ e affini) obbligata a contribuire. Vichi si presentò alla commissione Industria della Regione dicendo più o  meno le seguenti parole: “La fabbrica me la pago da solo. Banche? Ma quali banche… Le banche, al limite, me le compro. Non  sono mica come quegli industriali di Torino che costruiscono fabbriche chiedendo soldi allo Stato. Io sono un industriale vero, non Gianni Agnelli. E adesso, se per voi è sufficiente, io me andrei. Sapete, il tempo è denaro..”. In realtà, un bancario amico di Vichi –  adducendo ragioni di carattere fiscale – lo convinse ad accendere una piccola parte di mutuo sulla somma necessaria per la costruzione: ma quando arrivò la prima rata (interessi compresi..), Vichi andò su tutte le furie e fece estinguere il mutuo, bloccando per una mattina gli uffici direzionali della banca. Che acconsentirono all’estinzione…

Chi accusa Carlo Vichi di scarsa modernizzazione, di essere rimasto arretrato, non ha evidentemente mai letto (a differenza nostra) il documento profetico che il vecchio leone che indossa gli stessi abiti da circa mezzo secolo, dotato di una semplice licenza serale di scuola professionale, lesse al Consiglio comunale di Abbiategrasso nel 1984 (badate: 1984). In sintesi, Vichi disse che senza il mantenimento dell’industria elettronica in Italia, e se non si fosse posto un freno alla Cina e all’insostenibile concorrenza asiatica (…), TUTTA l’industria italiana del ramo si sarebbe estinta in meno di due decenni. Abbastanza lucido, diremmo.

Repubblica e Rai Tre, come anche il Corrierone, amano raccontare del Vichi legato all’orbace e all’elogio delle Panzer Divisionen delle SS (tutto vero, s’intende), concentrandosi sulle sue idee politiche. Ma non hanno mai riflettuto sul fatto che è la irriproducibilità del sistema Vichi a essere, probabilmente, il vero dramma di questa Nazione: il modello dell’industriale che stimolava i suoi lavoratori più abili a mettersi in proprio, salvo poi riassumerli tutti nel caso avessero fallito. Il modello di chi a Natale dispensava munifiche elargizioni a chi faceva fatica a pagare il mutuo, all’operaio con moglie o figli malati e bisognosi di cure. Alcune delle teorie di Vichi (il superamento tout court delle relazioni sindacali, ad esempio) sono generose utopie. Ma mentre il sole è tramontato per sempre sull’impero di Carlo Vichi, 400 miliardi di lire di fatturato nel 1990 senza spendere una lira in  pubblicità (mai fatto uno spot in vita sua, mai comprato una pagina di giornale), il 22% del mercato italiano del televisore sino alla fine dei Novanta, il problema è che il sole sta inesorabilmente tramontando su quasi ogni altra forma e/o presenza industriale di vecchio stampo. Che è sempre stata capace di riprodursi, tranne ora. Chissà perché…

Potrebbe interessarti anche

  • preview

    I camerieri di Elkann

    La recente notizia della vendita di Iveco agli indiani di Tata, un’operazione che segna un ulteriore ridimensionamento dell’industria italiana, ha avuto in generale commenti soft e non soltanto dai media controllati dagli Elkann-Agnelli. Una delle poche voci fuori dal coro è stata quella di Giorgio Garuzzo, uno dei massimi dirigenti della FIAT fra il 1976 e […]

  • preview

    Gli Agnelli-Elkann vendono Iveco

    In un’operazione di portata storica, il gruppo Exor, guidato dalla famiglia Agnelli-Elkann, ha finalizzato la vendita di Iveco. Tata Motors, colosso indiano dell’automotive, ha acquisito Iveco (esclusa la divisione Difesa) per 3,8 miliardi di euro, in quella che si configura come la seconda maggiore acquisizione nella storia del gruppo, dopo l’operazione Corus del 2007. Parallelamente, […]

  • preview

    Il crollo di Novo Nordisk

    Copenaghen, 29 luglio 2025 – Novo Nordisk, il colosso farmaceutico danese leader nel mercato dei farmaci GLP-1 per il diabete e l’obesità, ha scosso il mercato con l’annuncio di dati preliminari per la trimestrale del secondo trimestre 2025 e un drastico taglio delle previsioni di crescita per l’intero anno. La società, nota per i suoi […]