L’Olanda che cammina

28 Giugno 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La storia e l’attualità dicono che al Mondiale vince chi gioca al passo ed ogni tanto accelera, ovviamente quando ha il talento per farlo. A maggior ragione quando si passeggia in altura come in Sudafrica, anche se Durban è al livello del mare. La cifra stilistica dell’Olanda di Van Marwijk è proprio quella di addormentare la partita facendo tenere ad ogni giocatore la sua posizione, in maniera forse fin troppo lavagnesca.
Van der Wiel e Van Bronckhorst che non superano la metà campo e non accompagnano un’azione d’attacco che sia una, Kuyt che rispetta le consegne di fascia (con il rientro di Robben si è spostato a sinistra), Sneijder che arretra e lancia, Van Persie molto sacrificato in un ruolo da prima punta-cavallone pronto a far salire la squadra.  Con Ibrahimovic, se fosse olandese, questa squadra potrebbe già far vergare il suo nome alla base dell’opera di Silvio Cazzaniga. Senza un attaccante simile manca di punti di riferimento e crea poche situazioni pericolose in rapporto alla sua forza.
Non a caso la migliore Slovacchia del Mondiale ha difeso la sconfitta e rischiato per tre volte, due con Vittek e una con Stoch, di pareggiare. Weiss ha schierato la formazione più offensiva possibile: Hamsik dietro a Vittek e Jendrisek, anche se in realtà il centrocampista del Napoli ha dovuto fare poi il medianaccio per non sbilanciare la squadra (che ha così perso i suoi inserimenti senza palla, peraltro pochissimi in tutto il torneo), Weiss junior a destra e l’eccellente Stoch a sinistra, con il solo Kucka a dare i tempi del gioco. Onesta la difesa, sicuro il portiere Mucha, con gli ottavi di finale la Slovacchia è come se avesse alzato la Coppa.
Quanto all’Olanda, la coppia centrale Heitinga-Mathijsen è ottima nelle chiusure ma ha mostrato qualche limite nel corpo a corpo. E’ un po’ voler trovare a tutti i costi un difetto in una squadra che non sarà quella del calcio totale, non fosse altro perchè ognuno sta al suo posto, ma che può battere chiunque anche senza inventarsi giornalisti nemici (quelli che poi stranamente direbbero ‘Grazie Bert’, bei nemici) o motivazioni extra: cosa esiste più di giocare un Mondiale, come motivazione? Chiusura con Arjen Robben, molto controllato ma sempre devastante nel suo accentrarsi: il gol è stato un capolavoro, la paura di farsi male una costante. Non sappiamo quante partite super abbia in canna, per la leggenda ne bastano tre di fila.

Share this article