Calcio

Lo status del biglietto omaggio

Stefano Olivari 29/03/2011

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Thomas Dibenedetto-Unicredit minuto per minuto, cinque minuti fa (rispetto al momento in cui stiamo scrivendo queste righe) sono sorti problemi a causa di imprecisate e imprecisabili garanzie finanziarie e sportive che la banca di fatto proprietaria della Roma pretenderebbe per il futuro.
Qualcuno già scommette che stia per saltare subito e che il simpatico bostoniano sia stato utile solo alle volpi dell’insider trading, da sempre molto informate sulla società giallorossa. Vedremo, come Gianni Mura definiva Bugno. Quello che è certo è che il possibile arrivo degli ‘americani’ ha evidenziato alcuni nervi scoperti della nostra politica sportiva. Prima di tutto quello del proprietario straniero: che al di là della sua affidabilità imprenditoriale è di sicuro un soggetto incontrollabile dai vari poteri presenti in una metropoli. Facile tenere al guinzaglio un Dino Viola senza grandi capitali propri, un Ciarrapico che tutto doveva alla politica e una famiglia Sensi stra-indebitata, ma con il metaforico sceicco il giochino riuscirebbe più difficile.
Il secondo nervo scoperto è quello della ‘romanità’ della squadra, un bel vantaggio come marketing ma per altri versi una zavorra: la Roma, dieci volte più della Lazio (tale è la proporzione fra le tifoserie in città) è considerata dalla politica e dall’imprenditoria che gravita nell’orbita della capitale come un mezzo per ottenere visibilità a costo zero, scaricando i costi sulla collettività (comode rateazioni fiscali, affitti a prezzi di favore) o su banche che non possono dire di no. Non si tratta solo delle migliaia di biglietti omaggio, problema che non a caso Dibenedetto ha già sollevato, che rappresentano quasi uno status visto che i beneficiari non sono in genere mendicanti, ma di una sorta di tutela che impedisce progetti ad ampio respiro.
Fra questi il mitico stadio di proprietà, la cui sola ipotesi ha fatto imbizzarrire il presidente del CONI Petrucci che con toni degni di miglior causa (”Dibenedetto rispetti la storia dell’Olimpico”) ha ribadito però quello che tutti pensano: in Italia non c’è bisogno di nuovi stadi, tanto meno se costruiti facendosi regalare superfici commerciali o edificabilità dei terreni. Quello che è certo è che non sarà facile per la Roma liberarsi della tutela della politica in senso ampio (solo qui si ascoltano deputati di sinistra difendere delinquenti di estrema destra), conscia del fatto che portare in piazza tremila sfaccendati nella capitale d’Italia ha un peso diverso che farlo a Napoli o a Milano.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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