La squadra del doping

13 Aprile 2011 di Stefano Olivari

Nonostante la sua storia e i suoi milioni di appassionati, il ciclismo italiano non ha protezione sociale. Tradotto in italiano significa che non può schierare qualche migliaio di sfaccendati sotto l’agenzia delle Entrate o qualche delinquente sotto le case dei giornalisti.
Scontatissima e già fatta (ormai solo cover, non solo nella musica) la nostra considerazione, così come l’esibizione di muscoli del presidente del CONI Petrucci dopo il recente caso Lampre che coinvolge farmacisti, medici, dirigenti (il più famoso è ovviamente Beppe Saronni) e atleti. In sintesi questa è l’accusa: nel 2008 e nel 2009 la Lampre avrebbe praticato il doping di squadra. Il capo del carrozzone CONI dice che uno degli sport che hanno fatto la storia d’Italia (fino alla fine degli anni Cinquanta il suo spazio mediatico è stato non a caso superiore a quello del calcio) non è credibile? Così, in generale, senza distinguere le colpe? Non ricordiamo frasi analoghe su decenni di calcio taroccato e soprattutto immune ai controlli anti-doping, come gli anni delle inutili provette dell’Acqua Acetosa stanno a dimostrare. Il sospetto numero uno è che il presidente della federciclismo Renato Di Rocco non sia un fedelissimo di Petrucci, il numero due è che con certi sport sia facile ottenere un titolo di giornale facendo affermazioni generiche. Forse Petrucci non sa che il ciclismo italiano da qualche anno persegue, magari senza successo ma lo fa, non solo il doping legato a sostanze e pratiche proibite ma anche il semplice abuso di farmaci. Non è una cosa da poco. Poi per chi come noi vive di calcio è più conveniente dire che il tentato suicidio di un ciclista dipende dal doping mentre quello del terzino dalla depressione.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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