La pizza di Cracco è Cracco

30 Giugno 2020 di Stefano Olivari

La pizza di Carlo Cracco non è solo pizza ed è per questo che i suoi detrattori non si danno pace. Uno dei primi posti in cui siamo stati con i nostri amici dopo la riapertura di quasi tutto è stato proprio il bistrot di Cracco, in una Galleria dove tutto è al 50% rispetto a qualche mese fa, ma sempre meglio del 25% del semicentro o delle periferie.

Eppure c’è ancora chi dice che il modello di città basato quasi solo su finanza, turismo, eventi, studenti fuori sede, immobiliare e cialtronate varie (non sapremmo come definire i vigili urbani in monopattino), sia meglio di quello industriale, artigianale e commerciale che ha reso grande Milano e della cui luce noi indegni discendenti ancora viviamo.

Ma non divaghiamo e torniamo a Cracco, non per recensire la sua buonissima e diversa pizza in entrambe le versioni (Margherita e alle verdure, verdure dell’azienda agricola di Cracco e di sua moglie Rosa Fanti a Santarcangelo di Romagna, paese di lei), anche perché l’abbiamo già fatto due anni fa, ma per sottolineare il comportamento del grande chef con la clientela. Non quella vip, di critica enogastrononomica o dalle spese no limits che frequenta il ristorante del piano di sopra e beve Romanée Conti da 15.000 euro la bottiglia: non apparteniamo a nessuna delle tre categorie (alla fine il conto, comprensivo di tutto, è stato di 28 euro) e ad occhio così era per gli altri dieci tavoli occupati.

Eppure Cracco si ha fatto il giro dei tavoli, per chiedere se tutto andasse bene, come un normale oste di provincia fa con la sua clientela abituale: chiunque viva in un paese sa di cosa stiamo parlando, mentre nelle città di solito le pr in camicia bianca fuori da pantaloni sono riservate agli amici degli amici. Con Cracco poche battute prima che tornasse in cucina (“Meglio lavorare al 50% che non lavorare”, una sua frase che non sembra essere tanto condivisa dai colleghi stellati), ma decisive per dare forza a un concetto base del marketing: il padrone, il leader, il personaggio, o come lo vogliamo chiamare, della situazione, deve metterci la faccia perché il valore aggiunto è lui. E vale ad ogni livello. Da Steve Jobs con il girocollo nero al salumiere sotto casa che ti spiega i movimenti di Rebic: tutti sono in grado di darti uno smartphone o due etti di prosciutto, la differenza è crederci, far sì che tu ci creda e quindi dare importanza al momento.

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