La notte di Brera

19 Dicembre 2012 di Fabrizio Provera

O porca vita: poi dicono che la nostra esistenza è retta dal caso. Ma quale diamine di caso se ieri sera, 18 dicembre, sulla Padania è calata la stessa nebbia di vent’anni prima, quando una notte maledetta e bastarda si portò via Gioanbrerafucarlo, Principe della Zolla, il più grande- sine dubio, ac ira- fra tutti gli scribacchini sportivi (e non solo). Lei ci crede, al caso? Domandò Eugenio Scalfari a Giulio Andreotti, in un’intervista passata alla storia. Il Gioann Brera l’avrebbe fulminato col sorriso. Perché – avrebbe spiegato il Brera- non potete capire nagot, voi che non siete figli “dell’amplesso con il Ticino, dove padre Po rincoglionisce letteralmente e assume l’aspetto d’un inquieto serpentone dalle larghe e inutili spire. Il Po si lascia dietro fondali bassi che fanno mollente e paiono larghi: queste morte si chiamano lanche: l’etimo di lanche è ancon, greco, che significa gomito” (citazione, 1963).

Gianni Brera, o porca vita. Risucchiato dalla notte, celebrata fra le gozzoviglie degli amici e il leggendario Ragout d’oca del Sole di Maleo, dove Franco Colombani– passato anch’egli dalla terra alla tavola più invidiata del Cielo, quella con Brera e Gino Veronelli– ha officiato per tanti anni. Una notte, quella fra 18 e 19 dicembre, passata a bere vino “che aveva magari 14 gradi, e Nereo (Rocco, n.d.r.) fingeva di esserne atterrito. Poi parlavamo. E non c’era mai nube che ci potesse reggere, per cui tornavamo difilato in terra. E il senso pragmatico di Nereo non era mai affetto da cinismo. Ci sentivamo colmi di rimpianti asburgici, disarmati, o quasi, mit den Italienern. Noi tonti lombardi, voi gnocchi triestin. E un masochistico piacere di sentirci far fessi, però anche ringhiando puntuale disprezzo” (citazione, 1979).

Gianni Brera, che ieri sera è stato ricordato al teatro Franco Parenti di Milano grazie a uno spettacolo – bello, intenso e giustamente discordante, sotto il profilo dell’emozione – di Sabina Negri e Bebo Storti, accompagnati da due bravi musicisti, dalla buona borghesia milanese (c’erano Gianmarco e Letizia Moratti) e da tanti Senzabrera (Alberto Cerruti, Xavier Jacobelli, Claudio Rinaldi, Carlo Annovazzi e il figlio Paolo Brera. Mancava Gianni Mura, peccato. C’era il grande Vittorio Moretti, patron della cantina Bellavista e illustre ‘breriano’, di rito antico e accettato). Per chi volesse e potesse, si replica domani sera – giovedì 20 dicembre- al teatro Fraschini di Pavia. Location quanto mai azzeccata: capoluogo della provincia che diede a Brera i natali, nel 1919 a San Zenone Po. Ci sarà anche la nebbia, spessa e umida. Andateci, se potete.

Noi rileggeremo, ancora una volta, quelle pagine trasudanti di calcio, ciclismo, vino, passione per gli anfratti della storia e vitalità da uomo d’un tempo che non tornerà mai più. Perché il nostro, di tempo, è inconciliabile col Brera pensiero. Ci resta tanto, del Principe. Il calciolinguaggio, anzitutto: termini che tutti usano, ma che in pochissimi sanno donde provengano (centrocampista, libero, fluidificante, tornante, incursione, palla-gol, fare melina, incornare, rifinitore, assist, forcing: sono solo alcuni), tutti di conio breriano. Come uccellare, palabratico, il magnifico ‘scazonte’.. Resta tantissimo, del Brera giornalista e scrittore. Ma il tempo, in qualche modo, ne ha sbiadito il ricordo. E un po’ ce ne dispiace, perché in fin de conti siamo tutti “nati per sentire gli angeli e invece dobbiamo, oh porca vita, frequentare i bordelli. Battendo con impegno la carta in osteria e delirando per un cavallo modicamente impostato sulla corsa; tirando mezzo litro e improvvisando battute che sovente esprimono il sale della vita” (citazione, 1982).

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