La mia Asia

6 Ottobre 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Il riciclaggio di Eriksson, il senso di Robert Enke, la barzelletta del calcio in Borsa, il fair play dei ricchi e il valore di Messi.

1. Sven Goran Eriksson non ha ancora esaurito il suo bonus di immagine, anche se il nome è spendibile sempre più in basso. Dopo il fallimento, fallimento in proporzione al talento a disposizione, mondiale con la Costa d’Avorio l’allenatore svedese ha infatti preso il posto di Paulo Sousa sulla panchina del Leicester City. Il Championship non è esattamente il palcoscenico a cui Eriksson è abituato, ma le ambizioni sono comunque buone. Se non altro per la proprietà, un ricchissimo consorzio thailandese il cui frontman, Vichai Raksriaksorn, è anche sponsor del club. Da poco la baracca è stata rilevata da Milan Mandaric, che temporaneamente è ancora presidente, e i progetti nell’ordine sono: promozione in Premier League, ampliamento dello stadio (il Walkers Stadium da 32.500 dovrebbe passare a una capienza di 42.000, cambiando anche nome), rinforzo della squadra e qualche colpo di marketing per il mercato asiatico. Quasi inutile aggiungere che il Leicester City sarà osservato attentamente dalla task force anti-scommesse di Platini, ma questo non è un problema di Eriksson. Qualche analogia con l’esperienza al Notts County c’è: squadra nobile e storicamente importante ma molto decaduta, proprietà asiatica (il Notts County era di un consorzio mediorientale, la Munto Finance), grandi progetti, colpi a sensazione (Sol Campbell su tutti) e grande ingaggio. Storia finita lo scorso febbraio, con un cambio di proprietà e una mega-liquidazione per Eriksson. Alcuni proprietari di club (non solo inglesi) sono bravi a riciclare, lui di sicuro a riciclarsi.
2. A quasi tutti sembra impossibile che un ragazzo di 32 anni, portiere della nazionale tedesca (era a Euro 2008), abbia in mente il suicidio. Quasi, appunto. Perchè Robert Enke soffriva di depressione da quando di anni ne aveva 19: un male che inizialmente credeva dovuto allo stress da carriera calcistica, ma che in seguito si sarebbe rivelato nella sua vera natura. Senza spiegazioni, senza possibilità di farsi aiutare, senza vie di uscita. La vita di Enke, terminata con il suicidio (buttandosi sotto un treno) del 10 novembre 2009, è raccontata nella biografia ‘Robert Enke, una vita fin troppo corta’, di Ronald Reng, uscita in questi giorni in Germania. L’interesse del libro, stando alle anticipazioni che si sono lette, non sta tanto nel descrivere la depressione (un milione di opere sono state scritte sull’argomento) quanto nel raccontare gli episodi di mascheramento della stessa. Ad un certo punto l’obbiettivo di Enke non era diventato tanto guarire, quanto nascondere il proprio male al mondo esterno. A volte scomparendo, più spesso simulando infortuni ‘da calciatore’. Il mondo è troppo pesante per chi ha una sensibilità superiore alla media (Enke era attivista della PETA, l’associazione che si batte per il trattamento etico degli animali), per chi ha subito traumi devastanti (la morte nel 2006 della figlia di due anni, per una malattia cardiaca) e anche per chi semplicemente non ne può più. Robert Enke rientrava in tutte e tre le categorie, una buonissima carriera da portiere (soprattutto nel Benfica e nell’Hannover, mentre a Barcellona era stato solo riserva) non è bastata a dare un senso al tutto. Anche perchè un senso non c’è.
3. Sul finire degli anni Novanta l’approdo delle società in calcio in Borsa era un dogma indiscutibile, Sergio Cragnotti e quelli come lui ne erano i profeti. Il mercato, questa la tesi dei talebani della quotazione, avrebbe favorito la trasparenza dei bilanci e la buona gestione. Oltre a fornire capitali freschi e creare una proprietà diffusa. Invece, come è quasi sempre avvenuto nella storia d’Italia, il cosiddetto ‘parco buoi’ (cioè i piccoli risparmiatori che si fidano del funzionario della propria banca, che se fosse davvero capace farebbe il trader e non l’impiegato) ha regalato i propri soldi ai soliti furbi che hanno ceduto quote non strategiche delle aziende facendole strapagare. Il tutto con la connivenza di analisti bravi a prevedere il passato, in maniera non dissimile dai vituperati giornalisti sportivi. Adesso in Italia e in Europa per molte di queste ‘sòle’ si parla apertamente di delisting, cioè di uscita dalla quotazione. E non è un caso che la Consob abbia ammonito Juventus, Lazio e Roma (le tre società che in Italia sono state quotate) a più riprese. Nel 2009 l’ex presidente Lamberto Cardia aveva definito un errore la quotazione di questi club, adesso la Consob (tramite la sua newsletter e varie raccomandazioni) ha messo nel mirino la loro informativa al mercato, in particolare in materia di stipendi ai calciatori. In sostanza la commissione ha chiesto a Juve, Lazio e Roma di specificare meglio i compensi riservati sia ai calciatori che soprattutto agli intermediari. Il problema non è solo il fatto che spesso i dati siano forniti solo a livello aggregato (traduzione: dal bilancio si capisce solo quale sia il monte ingaggi lordo, ma non quanto percepisca quel calciatore o quel procuratore), ma anche che spesso sia oscura la parte variabile dei contratti stessi. A volte ancorata ad obbiettivi sportivi risibili (esempio: dieci presenze in campionato) e quindi di fatto considerabile come qualcosa di fisso. Inutile dire che la trasparenza permetterebbe di capire i rapporti fra certi dirigenti e certi procuratori, un obbiettivo che sarebbe auspicabile anche per i bilanci dei club non quotati.
Tutt’altro capitolo le dichiarazioni dei dirigenti, con i relativi influssi sull’andamento del titolo. Gli amici degli amici sanno ovviamente tutto prima, creandosi così la pensione integrativa.
4. Michel Platini ha tante idee, non tutte meravigliose (il cosiddetto fair play finanziario perpetuerà nei secoli il potere dei soliti grandi club con milioni di tifosi-consumatori, impedendo agli Abramovich della situazione di sparigliare le carte) come quella dell’indimenticato Cesare Ragazzi ma di sicuro idee. In un’intervista al Sole 24 ore il presidente della Uefa ha chiarito che l’obbiettivo è quello di non vedere più club con debiti enormi dominare campionati nazionali e coppe europee. Giusto, ma i bilanci possono essere drogati in mille modi: il cambio di destinazione d’uso di un terreno, con la connivenza di un’amministrazione pubblica cialtrona, può finanziarie un decennio di spese folli come è avvenuto per il Real Madrid. Non parliamo poi di operazioni incrociate fra club amici o di ‘sponsorizzazioni’ di aziende formalmente terze. Insomma, quelli dei bilanci ‘a posto’ rimarrà un problema del Fisco delle varie nazioni ma comunque Platini ha voluto stabilire un principio importante. Quanto alla solita vagheggiata Superlega (chi si ricorda della mitica EFL studiata da Media Partners, cioè dall’antenata della Infront Italia attuale advisor della Lega?) continentale, viene messa nella giusta prospettiva di materia da convegno: ”Credo che i tifosi siano interessati innanzitutto ai campionati nazionali e solo in secondo luogo alle competizioni Uefa. Per questo motivo non la ritengo un’ipotesi plausibile nel prossimo futuro”. Uno juventino è più stimolato dall’Arsenal o dall’Inter? Stiamo come al solito parlando del nulla, quando sarebbe già un miracolo se i bilanci rispettassero il codice civile.
5. In un mondo in cui tutto è lasciato sul vago, è possibile quantificare il valore di Lionel Messi. 200mila euro a partita. Infatti è questa la cifra che la federazione argentina (AFA) riceverà se la stella del Barcellona scenderà in campo venerdì contro il Giappone allenato da Alberto Zaccheroni (al suo debutto) a Saitama. Messi sembra aver recuperato dalla lesione alla caviglia per l’infortunio di metà settembre, ma non è questo il punto. II punto è che

i 60mila biglietti a disposizione per la partita sono andati esauriti in un solo giorno, anche con Messi in bilico. Il punto è anche che questi 200mila non andranno nè direttamente a Messi né tantomeno al Barcellona che se l’è visto scippare per 10 giorni. Per questo la perdita di identità delle nazionali, fra oriundi, naturalizzazioni facili e amichevoli-marchetta, sta facendo il gioco dei grandi club con visibilità planetaria. Che stanno passando dalla parte della ragione. 

(articoli già pubblicati sul Guerin Sportivo)

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