La fine dei sogni e l’anello del Doc

1 Marzo 2007 di Stefano Micolitti

Ormai siamo alla fine. Gli anni Settanta se ne stanno andando, come Charles Bronson, che si allontana a cavallo alla fine di ‘C’era una volta il West’, con la struggente colonna sonora di Morricone ad accompagnarlo. Un decennio irripetibile per tutti quelli che ebbero la fortuna di viverlo intensamente evaporava e, non poteva essere altrimenti, si portò via anche la mia squadra. La Pallacanestro Milano sparì al termine della stagione 79-80, e la sua ultima stagione, con sponsor Amaro 18 Isolabella, fu all’insegna delle lacrime. Sia di tristezza, per la fine imminente, sia di allegria (e non sto scherzando…), grazie all’incredibile quantità di puttanate che venivano consumate dentro il parquet dalla banda di Via Monreale. Insomma non sarà stato bello, ma sicuramente non ci siamo annoiati. Chuck non c’era più ed al suo posto ci siamo trovati MEL DAVIS e STEVE CASTELLAN…ma non solo, dal cilindro uscì nientedimeno che Tom Heinsohn! Storico coach dei Celtics chiamato a fare con Eligio De Rossi, Lucarelli e Papetti quello che gli era riuscito con JoJo White, Havlicek e Cowens. Il mix fu talmente bizzarro che riuscimmo anche a meritarci oltreoceano un mitico articolo sul Basketball Times del 23 dicembre 1979 titolato ‘Heinsohn: The Good, The Bad & The Pasta’ dove vengono descritte le peripezie dell’armata brancaleone e del suo povero coach.. Il gerontocomio chiaramente non fu in grado di attuare il running style basketball predicato da Heinsohn e dopo una partenza 0-6, culminata con un’esilarante sconfitta casalinga 122-91 contro la Virtus, il buon Tom fu rimesso sull’aereo per Boston. Ma, come dicevo, non c’era da annoiarsi: si giocò comunque run & gun tutta la stagione, con punteggi spesso sopra i 100 punti (persi i due derby 113-102 e 114-109) e dopo le prime 6 sconfitte, continuammo discretamente con un onorevole 7-13 nelle restanti 20 partite. Discorso a parte meritano i due USA ingaggiati con i quattro soldi disponibili. Mel Davis, ex Knicks, power forward in un corpo da ala piccola, veniva da una grande stagione a Novara, mentre Steve Castellan, ala-centro italo-americana, aveva appena terminato i suoi quattro anni a Virginia. Davis era un lottatore nato: grande rimbalzista e realizzatore nonostante una mano con qualche spigolo di troppo, nel 74-75, in 62 partite con i Knicks, tenne la media di 5.2 rimb pg in soli 14 min pg, tirando però col 39% (ehi, ma nell’NBA di oggi ci sono presunte superstar che tirano con queste percentuali! Mel, sei nato nell’epoca sbagliata…). Si batteva selvaggiamente su tutti i palloni ed era più spesso sdraiato sul parquet alla caccia dell’arancia, che in piedi. La sua selezione di tiro è sempre stata alquanto dubbia e maltrattava il pallone come pochi altri (primo incontrastato nelle palle perse tra tutti gli stranieri nel 79-80), ma lo adoravamo sia per il suo grande cuore, che per la capacità di tirare fuori dal cilindro sempre qualcosa di interessante: ricordo nitidamente un’azione di contropiede (termine ormai desueto…) 3 contro 2, De Rossi in mezzo serve il pallone a Mel sulla sinistra, i due difensori rimangono in area e Davis appena ricevuto il pallone si arresta solissimo dai 5 metri per un facile jumper, ma al culmine dell’elevazione, con la mano già pronta per la frustata, inspiegabilmente non tira, ricade sul parquet col pallone in mano, lo appoggia per terra e torna in difesa, corricchiando come niente fosse, sotto lo sguardo attonito dei compagni! Curiosamente, negli anni che precedettero il suo arrivo in Italia, Mel Davis veniva spesso e volentieri immortalato, in maglia Knicks, sulle pagine dell’Herald Tribune e del Daily American con foto che lo vedevano sempre ed immancabilmente orizzontale sul parquet in cerca della palla. L’Herald ed il Daily erano le prime carote quotidiane che attendevano me e il mio amico Marco all’uscita dalla scuola…suonata l’ultima campanella ci fiondavamo all’edicola di Piazzale Baracca per gettarci a capofitto in quello che era successo negli States due giorni prima. Poi, tornati a casa, si gettava un occhio speranzoso in portineria in perenne attesa di pacchi e riviste che placassero la nostra sete: Basketball Digest, Basketball Weekly, Sporting News, Basketball Times. Impiegavano mesi ad arrivare via nave, ma non c’era altra alternativa. E all’epoca le squadre NBA rimanevano ancora sufficientemente impressionate da una lettera di un fan italiano da inviare gratis guide, yearbooks e foto. Altri luoghi di culto nella Milano anni Settanta erano l’edicola Algani in Piazza della Scala, dove si potevano trovare Inside Sports e Sport Magazine oltre che le leggendarie guide Street & Smith’s e l’USIS, la biblioteca americana in Via Bigli, dove ogni due settimane passavamo un pomeriggio intero a fotocopiare tabellini, foto e articoli dai New York Times e Washington Post disponibili. Archiviata l’ennesima digressione e tornando alla sciagurata Isolabella, ricorderò sempre con piacere la crescita di Steve Castellan, ragazzo modello, sempre composto e ben pettinato, quasi fuori posto in una squadra così scombinata ed improbabile. Steve partì in sordina ma piano piano venne fuori imponendosi come giocatore solido e continuo. Ottimo rimbalzista con una discreta mano da fuori, sufficientemente veloce ma con una gamma di movimenti piuttosto limitata vicino a canestro, esplose in una partita contro l’Antonini Siena segnandone 30 con 5 schiaccioni. Fui talmente contento che il lunedì seguente mi riguardai la partita sulla tv privata locale !! Cosa mai più successa in quella stagione… Il viaggio ora è proprio finito, anche se chiudere questa cavalcata nei ricordi mi provoca una sottile malinconia; la fine del decennio, oltre a vedere la sparizione della mia squadra, mi inflisse anche un’altra cocente delusione, la sconfitta dei Sixers in finale contro i Lakers in un’incredibile gara 6 a Philadelphia senza Kareem, con Magic che giocò in 5 posizioni segnando 42 punti. Quella notte piansi attaccato alla radio, ma alla fine, dopo altri due anni di sofferenza, arrivò il meritato trionfo. Fast forward al mattino del 1 giugno 1983, h. 6.30, spengo la radio dopo la vittoria in gara 4 al Forum, salgo sulla mia R4 e di corsa a prendere Marco, i finestrini tappezzati con foto e posterini di Doctor J, il pennant dei Sixers al vento, e via per le strade di un’ancora assonnata Milano, suonando il clacson all’impazzata. Ci guardavano come fossimo dei matti, ma non ce ne importava nulla. Il Doc finalmente aveva l’anello.

Stefano Micolitti
smicoli@tin.it

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