La differenza per Donadoni

11 Marzo 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

Troppo curriculum per arrivare al Milan come geniale scoperta di Berlusconi, poche vittorie (i giorni migliori al Livorno, sorvolando sulla C1 con il Lecco ed un Genoa ben diverso da quello di oggi) per arrivare al Milan come santone indiscutibile. E in chiave rossonera va anche detto che l’amicizia con Demetrio Albertini, che lo consigliò a Guido Rossi per il post Lippi del 2006, non gli ha giovato: per questo la firma è stata apposta fino al 2011, un anno oltre la scadenza del contratto di Ancelotti. Roberto Donadoni sapeva quindi di essere condannato a rientrare in una squadra di fascia media, dopo il modo grottesco (chi si ricorda del rinnovo vincolato?) con cui Abete mise fine alla sua esperienza in azzurro al termine dell’Europeo, e più medio di questo Napoli in serie A c’è poco. De Laurentiis ha messo a punto una macchina da soldi, adesso una faccia pulita e famosa è più facile da ingaggiare rispetto a cinque giocatori da zona Champions. Secondo l’amico napoletano (forse ex amico e probabile ex napoletano) fino a ieri sera Reja era convintissimo di rimanere almeno per altri due mesi, con Donadoni che sarebbe stato la prima scelta per l’estate. Ma il rientro di De Laurentiis da Los Angeles (dove aveva visto in tivù la partita con la Lazio) ha costretto tutti i protagonisti della vicenda, Donadoni per primo, ad una scelta che avrebbero volentieri rimandato. Ma i veterani del Milan di Sacchi diventati allenatori sono tanti, la panchina una. E salutato Ancelotti (Bronzetti è già attivissimo nel magnificarne le doti presso lo ‘straniero’, come se Ancelotti fosse uno sconosciuto: i mediatori, come dire, mediano), nell’era di Galliani superstar le strategie sono altre. Tornando a Donadoni, la differenza fra il genio strafottente ed il bravo professionista è spesso solo un calcio di rigore. Facciamo due: Totti e Grosso hanno detto bene, De Rossi e Di Natale male.
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