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The imitation game, la maratona di Alan Turing

Stefano Olivari 14/01/2015

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La storia di Enigma è una delle più affascinanti del Novecento, non soltanto per gli appassionati di spionaggio e tecnologia, al punto da avere generato una produzione letteraria e storica sconfinata: difficile quindi guardare The imitation game con gli occhi del fanciullino, come se fosse un’opera di pura fantasia. Certo è che il film di Morten Tyldum, nei cinema italiani da Capodanno, è dal punto di vista drammaturgico davvero ben girato. Con protagonisti un Benedict Cumberbatch credibilissimo nella parte di Alan Turing e una Keira Knightley che credibile lo è sempre. La tesi del film è che un contributo decisivo alla vittoria degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale sia stato dato dalla decrittazione da parte dei britannici di Enigma, cioè della macchina che i tedeschi utilizzavano per mandarsi messaggi cifrati di tipo militare. Una decrittazione merito, secondo il film, delle intuizioni geniali di una squadra di matematici e crittografi inglesi voluta da Churchill e imperniata sulla figura di Turing, genio con problemi relazionali di vario tipo (non ultimo quello di essere omosessuale, cosa che nell’Inghilterra dell’epoca era ancora un reato), oltre che uomo di sincerità spietata e senza difese.

Ma al di là della guerra e della scienza, il tema del film è la vita personale di Turing. Di genio precoce ma anche di ragazzino timido e vessato dai compagni di collegio, con l’eccezione dell’amico Christopher, morto prematuramente e ricordato dando il suo nome alla macchina decifratrice di Enigma (altra licenza poetica degli sceneggiatori, visto che si chiamava Colossus). Un’omosessualità prima nascosta e poi repressa gli porterà, quando non più repressa, molti problemi anche giudiziari che arriveranno nel 1952 a una condanna penale e a una sorta di castrazione chimica, anticamera del suicidio avvenuto nel 1954. Non lo tirerà su di morale nemmeno l’amata atletica, citata in vari punti nel film. Forse non tutti sanno che questo genio arrivò quinto, a quasi 36 anni, nella maratona che fungeva da selezione per i britannici ai Giochi di Londra 1948, con un 2:46:03 che nella prova olimpica lo avrebbe fatto classificare al quindicesimo (!) posto. Un grande.

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