Il servizio che non è una battuta

28 Novembre 2006 di Stefano Olivari

1. BUM BUM – Fino a qualche tempo fa, diciamo più o meno prima dell’inizio dell’era Federer, sembrava che i problemi del tennis moderno fossero tutti concentrati nella battuta. Tanto che si era arrivati quasi alla decisione di abolire il secondo servizio, o quanto meno ingrandire un po’ le palline per evitare che le partite diventassero un esercizio di tiro a segno. Eppure non riusciamo a dimenticare che se – ad esempio – Boris Becker nell’immaginario è diventato e se nessuno si sogna di contestare uno dei titoli a Wimbledon di Sampras (che ne ha vinto più d’uno a pallate) evidentemente la gente non si dev’esser proprio annoiata. E poi: avere un buon servizio e basta serve davvero? La risposta sta forse nelle statistiche uscite alla fine del Masters di Shangai relative a tutta la stagione: si evince che Ljubicic (909) precede Roddick (725) negli ace, mentre Federer (656) è solo terzo davanti ad Ancic e Tursunov. Ljubicic è primo anche nella graduatoria dei punti vinti con la prima, mentre il divino Roger brilla nella difesa del servizio con una percentuale del 90% di turni senza break. In pratica: il servizio serve, e molto. La battuta forse, ma non del tutto. Vorremmo citare come esempio Tanner e Rosset, ma se diciamo Nargiso forse il concetto è più chiaro. 2. L’INVINCIBILE – Arrivati a fine anno si può fare un riassunto della stagione 2006 confrontando le classifiche mondiali. Nei primi dieci, Federer e Nadal a parte (ma lo svizzero è passato dai 6725 punti del 2005 agli 8370 attuali), i movimenti premiano Davydenko – passato dal sesto al terzo posto – e soprattutto James Blake salito di venti posti fino al quarto. Tra i desaparecidos eccellenti si segnalano Hewitt, che da quarto è sceso fino al ventesimo posto, ma in particolare due argentini: Coria e Gaudio. I due sono i finalisti del Roland Garros 2004, una partita che ha segnato un destino comune anche se a Gaudio ha regalato comunque la gioia di diventare l’erede di Vilas a Parigi. Così, mentre Gaston nel 2006, è sceso dal decimo a 34mo posto, fa ancora più clamore il crollo di Coria, la cui gloria tennistica è probabilmente finita lì, sul centrale di Francia, sul risultato di 6-0, 6-3, 4-3 e servizio a suo favore. La partita improvvisamente persa di mano, i crampi nelle gambe e nella testa, l’avversario che ribalta il match della vita fino all’8-6 al quinto finale hanno segnato il tennis di quello che doveva essere un campione predestinato. Così Coria, che ha pagato anche problemi fisici, è passato in dodici mesi dal numero 8 al numero 115. Imparando che, nella vita, la paura di vincere può essere un avversario invincibile. 3. PARAGONI – Le classifiche mondiali servono anche a fare un check up al tennis italiano. Se in campo femminile la qualità è – al solito – medio-alta (sette nelle prime cento, con la Schiavone numero 15), in campo maschile il piatto continua a piangere. E’ vero: abbiamo cinque giocatori nei primi cento (dal 38 in giù, però), ma quello che manca è l’inversione di tendenza rispetto ad un anno fa. Confrontando le classifiche la situazione è questa: Volandri numero 38 (era 39), Bracciali 65 (era 73), Seppi 74 (era 69), Storace 84 (era 108), Di Mauro 90 (era 125). E poi: Sanguinetti 107 (era 43), Galvani 110 (era 197), Bolelli 127 (era 250), Luzzi 147 (era 174), Lorenzi 170 (era 264), Vico 198 (era 180). Riassumendo (e ringraziando Sanguinetti per quel che ha dato fino ai 34 anni attuali), tutto più o meno come un anno fa, tranne qualche balzo di giocatori già in età (tipo Di Mauro e Galvani) che hanno azzeccato una buona stagione compensata da qualche mancato salto di qualità (Seppi e, in parte, Volandri). Unica vera eccezione Simone Bolelli, bolognese di Budrio, 21 anni appena compiuti. Forse un poco più di una speranza, a patto di non cominciare a pensare che sia un fenomeno. 4. ORA E’ TROPPO – Mentre il nuovo capo dell’Atp De Villiers moltiplica le partite come per miracolo, il circuito Wta sta cominciando a pensare che la quantità non coincida esattamente con la qualità. Ecco allora che i capi del tennis femminile hanno deciso che dal 2009 si cambia: meno tornei, dunque (la stagione finirà ad ottobre e non a novembre), più riposo tra i grandi appuntamenti ed incentivi per le giocatrici più forti perché evitino la catena di finti ritiri alla vigilia di settimane di media importanza. Insomma meno tennis ma più emozioni e sfide ad alto livello per un circuito in cui le protagoniste hanno lanciato la battaglia della parità dei sessi in materia di grano. In pratica: è giusto che nei tornei dello Slam le donne abbiano lo stesso montepremi degli uomini? A naso si direbbe di no, ma probabilmente le donne – come al solito – finiranno con l’avere ragione anche su questo. Noi intanto, gli uomini, saremo impegnati in un girone all’italiana. 5. LUI E’ PEGGIO DI ME – Non siamo soli. Lo diciamo vedendo quello che sta facendo la Lawn Tennis Association, cioè la federazione britannica, che sta spendendo 77 milioni di euro per costruire un nuovo centro a Roehampton – giusto fuori Londra e vicino Wimbledon – con 16 campi all’aperto, sei indoor più una struttura per ospitare giovani promesse di un Paese in cui gli agonisti sotto i 18 anni si sono ridotti a 8500. Roger Draper, il capo della LTA, ha anche assunto l’ex coach di Federer, Peter Lundgren, come assistente per la squadra di Davis, mentre sembra vicino ad affidare tutto il settore maschile a Paul Annacone, l’uomo che ha accompagnò Sampras in parte dei suoi successi. Uno sforzo enorme per una nazione che ha vinto l’ultimo Slam in campo maschile nel 1936 con Fred Perry e in campo femminile nel 1977 con Virginia Wade. Uno sforzo che ricorda altre federazioni e che il miglior giocatore britannico Andy Murray (a cui è stato affiancato Brad Gilbert come coach) ha giudicato così: “Può darsi che funzioni. Però se non si costruiscono campi pubblici per creare tennisti, è inutile spendere tutti questi soldi per un centro che non sapremo come riempire”. Ricorda qualcosa?

marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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