I Mondiali della democrazia corrotta

3 Dicembre 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

Il denaro non dorme mai, il Gordon Gekko di Wall Street ha fatto scuola. Russia 2018 e Qatar 2022 non hanno quindi sorpreso né bookmaker né gli appassionati di retroscena politico-sportivi. I 24 membri dell’esecutivo Fifa erano diventati 22 dopo lo scoop del Sunday Times che aveva fatto fuori il tahitiano Temarii e il nigeriano Adamu: questi 22 uomini, in buona parte screditati sotto ogni punto di vista (Jack Warner e Issa Hayatou i peggiori in questa speciale classifica), hanno ipotecato le sorti del calcio mondiale di un decennio effettuando le scelte più logiche in un’ottica finanziaria.



Un Mondiale è sempre più complesso e costoso da organizzare, una democrazia autoritaria come quella russa e un emirato come quello del Qatar offrono sufficienti garanzie per portare a termine il compito che si sono caricati sulle spalle. E pazienza per quei nostalgici che si ostinano a parlare di cultura calcistica e di una Coppa come punto di arrivo di un percorso, non certo di partenza.

Per il 2018 l’unica certezza era che sarebbe toccato all’Europa. Dopo l’esperienza di Giappone-Corea del Sud 2002, Blatter non aveva perso occasione per criticare le candidature congiunte: troppi problemi di coordinamento, gelosie inevitabili (è più importante la partita di inaugurazione o la finale?), spese comuni che vengono imputate agli ‘altri’ in una specie di gara di furbizia. Però Olanda-Belgio hanno voluto riproporre il ticket di Euro 2000 mentre la Spagna, che potrebbe ospitare il Mondiale da sola anche fra un mese, si è fatta fagocitare dai disegni politici del suo Villar (uno dei sette vicepresidenti Fifa, fra l’altro) e si è unita al Portogallo. Due, anzi quattro, suicidi annunciati. Interessante la lotta fra Inghilterra e Russia. Hanno prodotto più politica i sudditi della Regina Elisabetta, cercando di far dimenticare le inchieste dei giornalisti del loro paese che hanno messo nella giusta luce non solo Temarii e Adamu ma anche intoccabili come Teixeira e Leoz. Messo in campo il meglio con la sostanza del premier David Cameron, che ha parlato personalmente con mezzo esecutivo, la popolarità di David Beckham e il carisma del principe William che lontano dalla promessa sposa Kate si è violentato incontrando anche anziani mestieranti come Leoz. Ricevendo ovviamente assicurazioni e rassicurazioni dall’abile paraguayano, con varie funzioni al vertice della Conmebol da quasi quaranta anni. Più concreta la Russia che si è basata su progetti faraonici, buoni testimonial (Arshavin e Yelena Isinbayeva), finanziatori palesi (Abramovich) e occulti. Ma soprattutto su un rapporto personale che il suo presidente Putin ha saputo creare con Blatter: mentre la concorrenza cercava di blandire gli altri 21 grandi elettori, Putin ha puntato su quello giusto scegliendo di recarsi a Zurigo solo con il trofeo assicurato. Il resto sono congetture degli sconfitti, la realtà è che anche in stagioni temperate in Russia il campionato si gioca in impianti semivuoti e che le distanze diventeranno un problema se l’idea rimarrà quella di non organizzare un torneo Mosca-centrico: 16 stadi in 13 città diverse, questa la promessa-minaccia.

Ma se Abramovich e soci hanno portato comunque la bandiera di un paese che nella storia del calcio ha contato tanto, anche senza risalire ai fratelli Starostin, non altrettanto si può dire dei signori del Qatar. Gli Al Thani, già organizzatori di un campionato-burla (dodici squadre piene di mezze figure e vecchie glorie, quasi tutte dello stesso proprietario), si sono da anni messi in testa di rappresentare il volto rassicurante del mondo arabo e per riuscire nel loro intento hanno usato lo sport: fra Motomondiale, basket e atletica dalle naturalizzazioni facili. Ma ovviamente niente regge il confronto con il calcio. Anche in questo caso la concorrenza è stata rappresentata da un solo paese: sgraditi a Blatter Giappone e Corea, già indennizzata l’Australia con la qualificazione a vita dovuta all’inserimento nelle qualificazioni asiatiche, rimanevano gli Stati Uniti dei presidenti. Obama con videomessaggio ed il soccer chiamato rispettosamente football, Clinton in sala. A quasi 30 anni dal 1994 poteva esserci la convenienza nel puntare ancora su quello che rimane il paese più mediatizzato del mondo, ma il Qatar ha saputo essere più convincente. Ignoriamo in che modo, visto che i 12 stadi promessi sono più verosimili delle 7 città (nella capitale Doha e ad Al Rayyan vive il 90% della popolazione) ospitanti e che i quasi 50 gradi di temperatura percepiti in luglio imporranno forse l’uso di impianti indoor: il Mondiale Under 20 del 1995, vinto dall’Argentina di Pekerman, fu infatti giocato in aprile.

Su tutto c’è una realtà che in Europa, fra Champions League e campionati nazionali comunque bene organizzati, spesso sfugge: è la Coppa del Mondo il vero motore del calcio in questo pianeta. Perché la semplice prospettiva di parteciparvi o di fare una figura decente nelle qualificazioni mette in moto meccanismi di finanziamento, a volte diretti (cioè contributi della Fifa, attraverso i mille ‘project qualcosa’) e altre no. Quei due o tre milioni di dollari l’anno che in un’Europa di fascia bassa possono a malapena far funzionare la burocrazia federale, in un grande paese dell’Africa sono importanti e che in un’isola del Pacifico diventano vitali. Alla fine Temarii aveva messo all’asta il suo voto in cambio di una grande academy da costruire a Tahiti, monumento a se stesso più che al calcio dell’Oceania che ha fino a poco fa governato. La corruzione non è alla fine tanto in ipotetiche valigette piene di soldi, quanto nella democrazia e nella scarsa qualità dei suoi elettori. 
  
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