I migliori allenatori d’Europa

10 Novembre 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni accampato sotto la casa varesina di Sandro Galleani, bel paciarotto come direbbe Meneghin vedendolo vestito da dirigente, come faceva Charlie Yelverton quando era triste e voleva andare dal più geniale dei sussurratori per giocatori che sudano come cavalli secondo le teorie del Boscia che gli affidò muscoli e nervi di Azzurra campione a Parigi. Una veglia per accompagnarlo verso Masnago dove c’era da calmare l’anima in pena del Pozzecco che adesso, dalle scuse pubbliche per quelli che considerava suoi errori contro Reggio Emilia, si sta accorgendo che non tutte quelle facce da straniero che ha in squadra sanno guardare verso l’alto, gli stendardi, il ricordo di grandi successi. Normale, molti che guadagnano il pane nel basket italiano delle piccole miserie, povero in canna, ma non tanto da negare un bel stipendio al suo presidente di Lega, sanno di essere di passaggio. Non vado bene a voi, mi prenderà qualcun altro. Si sono trovati contratti in tasca i peggiori lavativi di queste lande desolate dove si corre e si tira con la leggerezza dei tornei estivi che in Italia non si organizzano neanche più.

Perché restare sbalorditi se la Fortitudo nel quarto campionato del regime petrucciano, se Treviso, relegata nel girone argento, fanno più spettatori di Caserta, Roma, Capo d’Orlando in serie A? Perché la gente va dove ancora si diverte, a Siena c’è sempre pieno anche dopo l’inferno del fallimento, se quelli della LNP esistessero ancora potrebberro pubblicare davvero spettatori ed incassi paragondandoli con quelli del circo massimo che produce il minimo di piacere. Pazienza se poi la Effe perde in casa con la capolista Udine, c’era comunque entusiasmo come certificato dalle foto di vecchi amanti traditi. Se ci fosse un giudice per valutare i vertici del sistema chiederebbe, da domani, da ieri, la rivoluzione, già adesso che non sapremmo che parole trovare se dovessero retrocedere Caserta o Pesaro che sono state teatro di vero grandissimo basket, società che avevano progetti belli da presentare al mondo dove gli intelocutori erano giganti e non autisti da valle dei serpenti.

Vi chiederete cosa faceva l’artritico sotto la casa di Galleani, ma è chiaro, c’era da accompagnare Augusto Ossola, 94 anni, moltissimi dedicati alla sua Pallacanestro Varese per fargli sapere che gli vogliamo tutti un gran bene e non soltanto per le testimonianze che ha raccolto in tanti volumi dedicati al suo grande amore. Mentre i nodi del sistema “me ne impippo” vengono al pettine, quelli che comandano hanno altro a cui pensare, c’è un prodotto da vendere, un‘immagine da propagandare, ci sono amici che non stanno certo nelle redazioni e, purtroppo, neppure sulle tribune, gnomoni che se ti lamenti per i caratteri minuscoli del sito lega quando hai la fortuna di collegarti con la partita che cerchi, sghignazzano e si danno di gomito: ”Ma questi da dove vengono? Vivono di ricordi, sono noiosi. Fate largo che passiamo noi della pallacanestro non bella, che diamo agli allenatori l’alibi per non lavorare”. Questa ultima accusa è un mantra che ormai strangola il sistema, ma se a lamentarsi degli scempi che si fanno in palestra è un agente di qualità e di primo piano come Sbezzi allora qualcuno, gli stessi giocatori, dovrebbe riflettere.

La mina vagante dello 0-7 in Europa è scoppiata in ritardo. Ci si accorge dopo che il calendario malvagio portava tutte le italiane in trasferta. Eh sì, in casa sono un poco più aggressivi, fuori, fanno come Totò e Peppino davanti a Duomo: noio vulevon savuar se per andare dove vogliamo andare dobbiamo proprio andare da quella parte che rende felici i trapper del giocatore infelice strappato alla NBA, ma poco convinto che il futuro sia così lontano da casa. Non fate dell’erba il solito fascio. Verissimo anche questo. Ci sono giocatori stranieri che hanno dato, che danno tutto per la società che li adotta, non abbiamo detto li paga cara gente, che restano anche a vivere qui, ma poi nella cesta ci sono altre mele e il contagio diventa facile se dietro agli allenatori non ci sono società solide.

Guardate cosa succede a Caserta dove pensavano, un vizio atripaldesco già pagato a Biella, di risolvere quasi tutto con una simil stella alla Young. Gli infortuni hanno aperto una botola sul mare dei guai, siamo allo zero-cinque che fa malissimo ed inquieta, mette gente di qualità sulla porta con la valigia in mano. No.In certi casi bisogna essere coraggiosi: bonificare la squadra, magari perderle tutte, ma non la faccia.

Fate come a Torino dove in attesa di presentare al grande basket la città con i palazzi dello sport più belli, basta scegliere fra tradizione e deisiderio del futuro, si portano avanti col lavoro e vanno alla Vesuvio Project allenata dal maresciallo Virgilio Esposito per avere un talento fisico come il Guglielmo Caruso da San Sebastiano, m. 2.02, classe’99, che ci ricorda la pesca miracolosa che un tempo fece, sfidando l’ignoranza, il pessimismo, il caro Elio Pentassuglia quando trovò nella miniera campana i fratelli Errico. Erano i tempi dove non ci si dimenticava mai della parola “PASSIONE” che adesso invece guardano con ribrezzo lorsignori che stanno in cattedra senza conoscere l’alfabeto dell’amore per lo sport.

Avanti con le pagelle prima che diventi necessario raddoppiare gli antidolorifici e vi diremo subito che non ci sarà alcun omaggio per il cinno Fontecchio che a Pistoia ha tinto di rosa il futuro della Virtus Bologna costruita con mezzo milione di euro, perché pur rallegrandoci che il figlio di una grande cestista come la Pomilio, di un grande ostacolista, sia già un protagonista, non vorremmo che lo prendesse in ostaggio il sistema che l’anno scorso faceva dire al talento Gaddefors di sentirsi pronto per la NBA, salvo poi ripiegare sui tortelli alla zucca di Mantova nel mondo piccolo dei canestri sognati dove non segna poi così tanto.

10 Alla PALLACANESTRO VARESE per questa forza organizzativa che prescinde dai successi o dalle scivolate sul campo, Iniziative che mostrano vitalità, ingegno, riconoscenza, dal fumetto sui galli dello scudetto stellare ai padri fondatori, ai grandi giocatori che siedono in tribuna stimati e riveriti, non come da altre parti dove non si vergognano a far pagare l’ingresso ai pochi che ne hanno fatto la storia.

9 Al TRAINOTTI di Trento che ha resistito a tutto quando c’era da formare la squadra per il primo anno in serie A, tenendo insieme il nucleo italiano della promozione, avendo dal presidente Longhi tutto l’appoggio per far sapere che dopo Sassari un’altra regione autonoma presenterà presto una squadra importante anche nel basket così come è già accaduto nella pallavolo. Due vittorie non sono niente, ma sono arrivate imparando la lezione nelle sconfitte. Un pregio. Una prova di grande umiltà ed intelligenza.

8 Al VIGGIANO che nella vita professionale italiana ha scelto il bello, il romantico, Siena e Venezia vi sembrano poco dopo Pavia, Milano, Biella, Treviso, senza dimenticare che dentro ha vero sangue nostro se contro le ex società sfodera la sciabola e salta sopra ogni ostacolo come ha fatto a Brindisi dove molte volte era stato messo in discussione.

7 Al RAMAGLI che guida la serie Gold con Verona perché recuperare questa città al grande basket è importantissimo, lo hanno capito persino alla RCS dove si sono decisi ad organizzare la partita delle stelle modificata in maniera che possa essere festa senza le illusioni delle partite fra italianuzzi assatanati e stranieri impegnati a scoprire dove si balla e si mangia fino a tardi, per l’umiliazione di allenatori obbligati a fingere di allenarli. Qui, almeno saranno tutto col gomito alzato già alla palla a due. Poi ci sarà il contorno, il villaggio basket che forse non sarà così affascinante quando si andrà a Desio, era ovvio, per la coppa Italia.

6 Al POPOLO PESARESE per come ha sofferto la prima vittoria in campionato contro la Roma dell’ex Dalmonte. Un calvario reso anche più difficile dall’espulsione dell’americano che sembrava l’uomo della provvidenza. Due segnali in una notte che dovrebbero far capire tante cose alla Pesaro che conta e a quella che canta e pure a chi la fa cantare.

5 Ai COLOSSI dell’EUROLEGA, le spagnole, le greche, il CSKA, , ogni tanto le turche, che fanno sembrare armate di latta le pur ricche rappresentanti italiane, anche se non siamo proprio convinti che certi risultati, certe prestazioni, nascano dal budget principesco. Se fosse sempre e soltanto questione di soldi non avremmo “miracoli” come quelli della Montegranaro dell’anno scorso, delle tante squadre non pagate, della Siena del povero Crespi che a Vitoria fa molta fatica a ritrovare la fantasia che gli fece inventare i sarmati di Siena.

4 Alla LNP se non ci spiega bene cosa vuol dire far giocare alle 18 le partite domenicali di campionato. Questa gabbia creata intorno al calcio che già appesantisce senza senso la massima serie è una prigione che testimonia la poca fantasia e la poca voglia di ribellione di chi sa di avere, in moltissime città, un seguito di affetti che meriterebbe il giuramento sulla carta d’indipendenza. Persino in B si gioca alle 18 e persino in questa serie c’è chi è costretto a mettersi in viaggio il giorno prima. Quanto costa tutto questo?

3 Alla RAI che, tanto per restare sempre in tema di orari balordi, antimediatici, veleno per la stampa scritta, per chi vuole uscire per vedere una partita e poi andare a cena o, magari, a teatro, al cinema, si è smascherata proponendo la partità del lunedì alle ore 20. Dicevano che era impossibile variare, ma qui, per non irritare Varriale e il suo Processo, si gioca d’anticipo. Quando vogliono cambiano, basterebbe non presentarsi alla firma dei contratti con il cappello in mano.

2 Al SACCHETTI che troppo spesso e molto volentieri si lamenta dell’approccio mentale alla partita dei suoi santi navigatori di Sassari, come se ad allenarli fossimo noi. Lo vediamo tutti che le squadre italiane prendono il primo schiaffo quasi sempre, se capita come a Monaco che Milano vada via per il ko, poi si registra un misterioso calo di zuccheri. Insomma siete voi tecnici che guardate il riscaldamento, possibile che non vi accorgiate come dall’altra parte abbiano una marcia in più, occhi da tigre?

1 Al caro ATRIPALDI che ha rimesso il suo mandato di plenipotenziario per Caserta nelle mani di chi paga. Ci dispiacerebbe vederlo con la bandiera bianca. Resista, se può difenda fino in fondo il galantuomo Molin, ma resti sulla barca, di Schettino ne abbiamo piene le borse.

0 A Toni CAPPELLARI, un manager che ha vinto tutto, non tanto per aver resistito da signore, come sempre, al rigurgito di chi ancora oggi non ha capito quale era la forza della società milanese che il Tricheco rilevò dal maestro Rubini, dell’uomo che cambiò in meglio il modo di essere del Peterson che non può ricordare tutti quelli che in Italia lo hanno aiutato a diventare il gigante che ancora oggi può far scattare in piedi la gente, anche quando si ripete troppo spesso, ma, tornando allo zero scarabocchio per l’uomo dei trevisi, per aver sostenuto nella trasmissione di Gandini a Sportitalia nella notte di domenica, che abbiamo i migliori allenatori d’Europa. Una favola. Abbiamo tanta gente brava, ma anche molti apprendisti stregoni, un po’ come gli arbitri ci sono i bravi, i raccomandati, quelli che non dovrebbero mai essere presentati. In Europa, siamo sicuri, ci sono allenatori bravissimi, anche più dei nostri, perché la vecchia scuola slava ne ha tantissimi di qualità anche oggi che tutti i talenti scappano come i giocatori di baseball da Cuba per cercare fortuna dove ti sfruttano, ma non ti insegnano. Si tenga lo zero perché non tutti hanno l’ironia e lo stile dell’Elio Giuliani che con Radio Città a Pesaro lo ha riportato alla ribalta 25 anni dopo la famosa monetina sul cuore sfinito da troppe inciviltà della tribuna ancora senza il vergognoso laser di oggi, più che sulla testa di Meneghin.

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