Film da vedere: Sette anni in Tibet

4 Aprile 2021 di Stefano Olivari

Sette anni in Tibet, in onda stasera alle 21.15 su La 7, è un film da vedere. Sempre che non si sia già letto il bellissimo libro che a suo tempo Heinrich Harrer scrisse sugli anni trascorsi in Asia da alpinista ed esploratore. Un Harrer che in questo film girato da Jean-Jacques Annaud nel 1997 ha il volto di Brad Pitt e racconta la nascita del suo rapporto con l’allora bambino Dalai Lama, che poi sarebbe l’ottantaseienne Dalai Lama attuale, quello che i politici occidentali non possono incontrare senza far stizzire i cinesi (ma per i tibetani nessun quarterback si inginocchia).

Nel 1939 Harrer è un alpinista austriaco (quindi tedesco, dopo l’Anschluss) di successo, nell’età dell’oro dell’alpinismo, quando c’è ancora molto da conquistare, oltre che un iscritto al partito nazista, anzi addirittura alle SS. Per questo la sua partecipazione alla spedizione in Kashmir, poco la scalata della parete parete Nord dell’Eiger esaltata anche da Hitler, è in quella Germania pre-bellica un evento mediatico incredibile. Questo eroe ariano lascia la moglie incinta e va alla scoperta di un’Asia centrale che per molti nazisti di primo piano, Himmler in testa, è una vera ossessione fra lo scientifico e l’esoterico. Inutile dilungarci, Giacobbo ci avrà fatto cento trasmissioni.

Sette anni in Tibet film è secondo noi abbastanza fedele al libro, con le ovvie differenze dovute alla sintesi e al pop (nel film il figlio è molto più presente), e Pitt, ai tempi già un divo dopo Vento di passioni e Seven, è molto credibile. La parte più emozionante è quella della conoscenza reciproca con il Dalai Lama, periodo finito con l’arrivo dei militari cinesi dell’appena proclamata Repubblica Popolare di Mao. Da Hitler a Mao, passando per il Dalai Lama: trovate l’intruso in questo terzetto.

A dispetto dello spirito di conquista nazista con cui ha iniziato l’avventura, Harrer dopo la frequentazione con il Dalai Lama diventa un convinto assertore dell’uguale dignità fra i popoli e lo dimostrerà nel dopoguerra. Arrivando con interviste e libri, di argomenti anche molto diversi, più altre spedizioni, fino quasi ai giorni nostri, visto che è morto nel 2006. Sempre frequentando il Dalai Lama e difendendo la causa dell’indipendenza del Tibet.

Bel film e storia a dir poco grande, di un quello che può essere considerato anche un personaggio sportivo. Per l’alpinismo, ma anche per lo sci (non il fantozziano azzurro di sci ma campione mondiale universitario di discesa libera e selezionato per i Giochi Olimpici del 1936 anche in slalom, poi squalificato per professionismo) in un paese dove lo sci è una religione, e per il golf di cui è stato negli anni Cinquanta campione austriaco. Film adatto allo spirito di avventura (dal divano) dello spettatore maschile senza dirette su DAZN, ma grazie a Brad Pitt anche alle mogli.

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