Rugby

Diritto alla superficialità

Stefano Olivari 16/11/2009

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Nel Muro dello Sport tutto quello che volevamo dire su Italia-Nuova Zelanda è stato detto, oltretutto anche da persone che seguono con passione e competenza il rugby, quindi evitiamo di sdottorare su mete tecniche e arbitri anglosassoni alla Dickinson: otto ore al giorno di calcio hanno aumentato il nostro naturale tasso di beceraggine, che già era alto. Volevamo solo banalmente sottolineare la differenza che c’è fra il cosiddetto ‘evento’, per cui scatta il meccanismo psicologico dell’esserci a tutti i costi, e l’attività media. Degli spettatori occasionali capitati sabato a San Siro non uno si appassionerà al Super10 o ad una delle due franchigie che parteciperanno alla Celtic League. Per non parlare dello spettatore milanese in particolare, visto che le partite dell’Amatori (serie A, in termini calcistici serie B) al Giuriati si giocano davanti a poche decine di persone. Ma non per questo chi si è recato ad assistere a quella che è paragonabile ad un’insulsa amichevole (nel rugby nobilitata con la definizione ‘test match’) calcistica, dove la Nuova Zelanda del calcio nell’occasione eravamo noi, merita i sorrisini di quelli della parrocchietta. Non occorre il diploma del Conservatorio per ascoltare Beethoven, l’Accademia di Belle Arti per visitare una mostra di Basquiat, o una laurea in biologia marina per stare due ore davanti ad un gattuccio all’acquario analizzandone le interazioni con la vicina cernia (si sarà intuito che delle tre cose abbiamo fatto solo la terza). Che gente poco interessata al rugby si sia interessata a questa partita è una cosa positiva, che va contro non solo la monocultura calcistica ma anche contro quella più generale dei cretini specializzati. Una cosa molto anni Ottanta, quando le nicchie non avevano la nobiltà commerciale di oggi e si potevano vivere esperienze comuni. Creando quindi ricordi comuni. Diritto alla superficialità, potremmo definirlo: più emozionante delle regole di qualsiasi sport.
stefano@indiscreto.it

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