Il consiglio di Liz Nicholl

14 Agosto 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal santuario mantovano fra i fiori di loto dove ogni ferragosto si radunano i madonnari per un mondiale raccontato con affetto. Ci piace l’atmosfera. Loro disegnano in terra vicino alla chiesa medioevale nella zona di Curtatone, noi possiamo imprecare a voce alta dopo le giornate ricche di ogni emozione per il mondiale londinese. Daranno anche cibo avariato, spesso ti fanno girare i brexit, ma come si vive un avvenimento sportivo in casa dei londinesi non lo puoi immaginare fino a quando il porcospino mascotte ti prende per mano e inizia il viaggio.

Mondiali con l’anima, fra cadute e risalite, dove nessun dio degli stadi ha retto la fatica dei doppio impegno, del faccia a faccia con chi voleva spodestarlo. Vera atletica religione dell’uomo, senza lepri, quasi senza trucchi. Come dovrebbe essere. Per scherzo avevamo pronosticato una pioggia di record, ma era soltanto per gioco: ambiente, clima, durezza della competizione, niente miele da meeting, nessuna ricerca Barnum per record che, comunque, sarebbero stati pagati bene. Contava vincere, come hanno detto gli staffettisti veloci inglesi: sarà per la vita e resterà per sempre. I record passano, gli albi d’oro ricordano.

Purtroppo per la brigata ombra dell’atletica italiana, che non può essere davvero assolta. Tutti colpevoli, anche se, conoscendo la cultura e la natura di Elio Locatelli, il capo dei tecnici finalmente, siamo sicuri che questa finta catena di san Francesco che tiene in piedi una baracca fatiscente lo fa andare in bestia. Una medaglia e per fortuna quelli della marcia restano il regno incontaminato di chi il pane se lo guadagna davvero come direbbe il Pastorini. Per il resto Tortu e Meucci. Poi il vuoto. Tutte vittime che facevano venire la nausea quando si presentavano davanti al microfono Rai: avevano una scusa per tutto, come nel Riccardo II, un re né cattivo né eroico, vittima, come molti degli azzurri di Londra o di Rio, soprattutto della loro indulgenza verso se stessi e, troppo spesso, anche del potere di una immaginazione che ti fa sentire quello che non sei.

Un discorso che non dovremmo voler fare per la Nazionale di basket che, come tante altre volte, troppe, parte con la benedizione di tutti quelli che non le vogliono davvero bene. Per fortuna Ettore Messina sembra molto vigile. Sorride perché la parte lo impone, ma la sua vera faccia è quella del madonnaro in panchina e nei momenti in cui esterna vedendo arrossire Pino Sacripanti, assistente seduto di fianco a lui, ci è venuto in mente che questa commedia dell’arte era interpretata, fuori dal campo, sull’asse Bologna-Cantù, dall’avvocato Porelli, pigmalione di Messina, e dal sciur Aldo Allievi padre putativo del Pino nel vero Cantuki. Chi vede e stravede pensa che fra capo allenatore e il vice prestato da Avellino sia caduto il gelo dopo la rivelazione presidenziale per la scelta di Sacchetti come capo di Azzurra. Può essere tutto, ma la verità è scritta su altri quaderni. Fu Gamba, prima di Messina, a suggerire, ma poi, dicono, è stato o dottore siciliano cresciuto fra Mestre e Venezia, diventato generale alle Termopili bolognesi, a spingere per questa scelta di un padre che non sarà padrone, di uno che accetterà nel suo basket tutti quelli che amano giocarlo come piace a lui, attento che non giochino soltanto quello che piace a loro, ultimo eroe di grandi difese che preferisce gli attacchi. Il contrario di Messina. Valli a capire, anche se poi Sacchetti vi dirà che a lui la difesa piace, se Messina giurerà che lo fanno sorridere, adesso è di moda, una regola per stare bene anche quando dentro hai il fuoco, gli attaccanti capaci di non farsi schiacciare dalla pressione, allenati così tanto da poter essere automaticamente nel posto giusto per il tiro giusto.

Speriamo sia così e di non ritrovarci come i viandanti dell’atletica italiana denudati nell’arena mondiale, come tanti nello sport cuccagna che la signora Liz Nicholl manderebbe subito fuori dalla casa protetta dove si pagano anche i brocchi. In una bella intervista su Repubblica alla Audisio la donna che ha rilanciato il movimento sportivo britannico ha dato un suggerimento abbastanza chiaro, crudele visto dal CONI che deve promuovere ed aiutare la base, in ogni sport, ma logico se stiamo parlando di professionisti dello sport: ”Chi non può vincere non va finanziato”. Sono altre le organizzazioni che devono aiutare i giovani talenti a crescere, imparare, ma poi se viene il momento per fare i conti, chiedere aiuto, allora la regola può essere soltanto quella. In passato, ricorderete, proprio il CONI fu accusato di crudeltà mentale nei confronti di chi aveva poche possibilità olimpiche, anche se aveva fatto o sfiorato un minimo. Per nuoto ed atletica i cattivi erano al Foro Italico. Poi in casa Barelli hanno cambiato modo di vedere le cose. I risultati sono stati e sono ancora eccellenti. Nell’atletica no. La vera corsa ad ostacoli è capire come dividersi le colpe, non puntare il dito su uno soltanto: scuola senza sport nei progetti, reclutamento difficile, decentramento demenziale per certi livelli. Esistono la scuola elementare, il liceo, l’università: non è tutto uguale. Le società militari saranno pure il pozzo di san Patrizio per troppi, però senza di loro avremmo un deserto di amatori fra le sterpaglie di piste mai rinnovate, spogliatoi mai riscaldati.

Ma torniamo ai giardini intorno al palazzo reale di Londra perché staccarsi davvero è impossibile e non abbiamo ancora trovato le parole giuste per consolare uno come Tamberi che davvero ci regala speranza, come del resto Tortu e qualche giovane visto ai campionati di categoria in Polonia o a Grosseto. Vedremo come cambieranno le cose fra non molto, anche se il prossimo appuntamento europeo illude qualcuno di poter ancora giocare davanti allo specchio dove chi è indulgente con se stesso vince la gara delle pulci.

La stessa cosa che dovranno fare quelli del basket, una Nazionale che ha perso il capo giocatore Gallinari, un campione senza corona che non ha bisogno di indulgenze e diventare i suoi paladini anche quando ha sbagliato spiega tante cose del resto che ci meritiamo, persino l’abusivismo protetto per un voto in più, le città con le loro buche e il cibo adulterato. Si spara agli orsi perché fanno gli orsi, ma sull’amico da proteggere a qualsiasi costo tutti uniti.

Nelle maledette pause pubblicitarie del Mondiale ci è toccato rimbalzare sui canali dove dal tono di voce dei commentatori fai fatica capire se stanno commentando una finale mondiale, un’amichevole o, magari, una partita di preparazione ad eventi più importanti. Uno strazio ed è doloroso sentirsi dire che gli ordini partono dall’alto. Eh no. Vi conosco mascherine, sappiamo come godete nel far sapere che gli altri sono rimasti ad un livello più basso, non vedono spaziature, non sentono l’armonia dei blocchi, l’estasi del coro angelico che sarà dalla loro parte anche dopo una Lituania, una Croazia, una finale di Cardiff trattata come l’amichevole col Tottenham. Mondi paralleli dove in tanti hanno la faccia che continua a ricordarci il benvenuto di Milano a Simone Pianigiani che nell’immagine legaiola sembra fuggito con Nicholson dall’incubo di Shining.

L’Italia accarezzata in Trentino, regalata a tanti giovani sul campo di Cagliari non ci sembra ancora affidabile al centro, ma di certo sta facendo passi avanti. Passi di bimbo, non ancora da gigante. Come giusto. Mancano 20 giorni all’Europeo. Messina non vuole automi, ma allena perché, al momento in cui il culo stringe pigiama come diceva Boscia, la scelta di gioco diventi automatica lasciando poco spazio all’io del giocatore viziato a chi, poi, troverà indulgenza verso se stesso anche se ha sbagliato perché così vanno le cose. Se non ti capisce l’allenatore chiama il tuo manager, se anche lui sembra soltanto interessato ai nuovi contratti allora appoggia la testolina sul tappeto di casa.

A Tolosa e al torneo dell’Acropoli scopriremo se avremo tre registi all’europeo o se Cinciarini dovrà lasciare spazio a Della Valle. Per il resto quasi tutto chiaro, ma sarà l’esordio europeo contro Israele a Tel Aviv a spiegare meglio certe cose , anche se la prima fase potrà servire ancora per far diventare squadra un gruppo migliore che ha tre moschettieri, Melli, Datome e Belinelli, e ne cerca ancora due per andare oltre Dumas, oltre il preolimpico di Torino, oltre la collina del disonore di troppe partite sbagliate da Azzurra tenera.

P.S: Agli Europei under 16, ma pensa te, di Podgorica un ragazzino ha sconvolto il pianeta azzurro. Si chiama Nico Mannion, figlio di Pace, uomo che ogni allenatore pregava di avere in squadra. Gioca per l’Italia. Sta crescendo bene come altri figli di ex campioni, ma la smania di salire sul suo carro, certo fa impressione uno che segna ai russi 42 punti in 28’, prende 5 rimbalzi, smazza 3 assist e recupera 6 palloni, ci fa temere che cercheranno di portarlo altrove. Padre americano, college dove i buoni li prendono subito, tipo il figlio di Moretti. Seguirlo, senza perderlo, evitando esagerazioni.

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