Il mito generalista di Velasco

28 Ottobre 2020 di Stefano Olivari

Trent’anni fa, il 28 ottobre del 1990, l’Italia della pallavolo allenata da Julio Velasco diventava campione del mondo per la prima volta nella storia, alla fine di un torneo che ebbe la sua partita da leggenda nella semifinale contro il Brasile padrone di casa. Aprendo un decennio pazzesco, in cui gli azzurri avrebbero vinto il Mondiale anche nel 1994 e nel 1998 (in quest’ultimo caso con allenatore Bebeto), medaglie da aggiungersi all’amaro argento olimpico di Atlanta, ad Europei, World League e altro.

Un trionfo che arrivò dopo l’oro agli Europei dell’anno prima e che creò un’onda lunga che dura ancora oggi, pur con una Nazionale di livello inferiore e in campionato con imprenditori di cilindrata dignitosa ma ben diversa rispetto a Gardini, Berlusconi e Benetton… Veniamo al punto: nell’Italia di oggi Velasco e i suoi giocatori, da Zorzi a Lucchetta, da Bernardi a Giani, sarebbero conosciuti fuori dalla parrocchietta degli appassionati di volley?

La risposta è sicuramente un no, perché nel 2020 tutti guardiamo il più possibile dei pochi sport che davvero ci interessano, mentre degli altri non abbiamo nemmeno un’infarinatura di tipo generalista. Se dovessimo occuparcene per lavoro ci informeremmo, del resto abbiamo scritto anche di jorky ball e di canottaggio senza sfigurare, ma come interesse personale il discorso cambia: non sapremmo elencare i nomi di dieci sciatori italiani di oggi, di dieci rugbisti o di dieci schermidori, per rimanere su sport importanti, ma soprattutto non ce ne importa niente e non c’è una tivù generalista che con il doping dell’italiano che vince riesca a trasformare i Velasco e gli Zorzi in personaggi.

Meglio ieri, signora mia? Meglio oggi? Come quasi sempre accade, l’unica cosa che davvero rimpiangiamo di ieri è la nostra età, ma questo non toglie che la cultura generale sia fatta anche di argomenti di cui non siamo maniaci.

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