Nessuno è obbligato ad andare da Starbucks

7 Settembre 2018 di Stefano Olivari

Starbucks ha aperto in centro a Milano, in piazza Cordusio, come forse vi sarà capitato di leggere. Ma ci si nota di più se fingiamo indifferenza o se ne parliamo male? Siamo nannimorettiani, ma non fino al punto di trattare con sufficienza un evento che ha generato code incredibili, già ieri quando il negozio nell’ex palazzo delle Poste (fra l’altro a 50 metri dalla sede operativa di Indiscreto) non era ancora stato aperto. Non è lo Starbucks normale che c’è in molte città, non solo americane, ma lo Starbucks Reserve Roastery, cioè uno spazio dove oltre al locale tradizionale ci sono altri spazi e altri punti vendita, che ne ne fanno un luogo più adatto al commercio di vari tipi di prodotti alimentari che allo stazionamento-cazzeggiamento per ore con il computer collegato al wi-fi, come è nella vera natura di Starbucks. Lo stesso dehors, pur pregevole, non fa tanto Starbucks.

In sintesi si può dire che questo Starbucks in collaborazione con Percassi (proprio il presidente dell’Atalanta) e Moratti (Angelo, nipote dell’ex presidente dell’Inter Massimo) è una versione fighetto-turistica dell’idea che personalmente apprezziamo di Starbucks, cioè un posto accogliente dove si possa stare per ore senza per forza consumare (provato a ogni latitudine, senza ricevere un solo sguardo di disapprovazione), contrariamente a quanto avviene nel più lurido bar della periferia dove se non sei del posto vieni squadrato tipo Malena (la Bellucci nel film di Tornatore, non la pur brava Malena la Pugliese). Così com’è strutturato a Milano non ha secondo noi molto senso, se non per i curiosi e il turista che gradisce una versione italianizzata della catena (ci sono anche i prodotti di Princi), ma visto il passaggio che c’è nella zona il successo dell’operazione è praticamente sicuro. Ed in fondo è l’unica cosa che conta, visto che non è stata deturpata la piazza e sono stati in più creati 300 posti di lavoro. Personalmente, da estimatori di Starbucks, questo ibrido non ci esalta ma troviamo comunque ridicole le osservazioni sul prezzo del caffè (1,80 euro) o del cappuccino (4,50), come se esistesse un prezzo giusto per prodotti non di prima necessità. Senza contare che questi caffè e cappuccino si possono prendere al tavolo, al contrario di quelli pagati meno ma presi in piedi in tanti bar.

Nella città che in certe zone propone tristissimi aperitivi da 16 euro a cranio nulla dovrebbe sorprendere, ma il vero confronto è con il caffè ristrettissimo e bruciacchiato a un euro bevuto di corsa in un baraccio cinese mentre da Starbucks viene venduto un mondo, un immaginario. Che può non piacere, ma non è certo imposto. Se no bisognerebbe pagare 10 euro le borse di Prada o 3 euro le Nike, pensando ai costi di produzione e non al contenuto immateriale di un prodotto. Qual è il giusto prezzo di Frosinone-Spal? Ed ecco la conclusione. Nessuno ci costringe a bere il caffè da Starbucks, ad abbonarci a Sky, a comprare la Gazzetta. Sono scelte personali. Ci dà più fastidio vivere in un paese con una pressione fiscale reale del 48,3%. Questi sono i furti, essere obbligati a regalare metà della propria vita: altro che cappuccino.

Share this article