Una giornata particolare

29 Aprile 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Il capro espiatorio Ibra, l’unanimismo di Barcellona, l’unica parata di Julio Cesar, l’eroismo di Samuel e Moratti psicanalitico.

1. In fondo non era un granché, questo Barcellona. L’attacco perfetto, del genere ‘Mediaset-teniamo basso’, di un articolo per spiegare una semifinale di Champions che vista dal vivo ha regalato emozioni che una partita difensiva raramente riesce a trasmettere attraverso il video. Invece questo Barcellona era davvero granchè, oltre la banale contabilità della bacheca (campioni d’Europa, campioni del Mondo-coppa del nonno, campioni della Liga) ed il fatto che ad una squadra quasi perfetta sia stato aggiunto il miglior giocatore del mondo o giù di lì. Anche se basta andare via dall’Italia per essere declassato da calciatore che sposta tutti gli equilibri a zingaro supponente che pretende il pallone sul piede (falso, si muove come pochi attaccanti al mondo) e inceppa il meccanismo di Guardiola (in parte vero, in una squadra che attacca in massa Ibrahimovic non è la boa ideale), diventando l’ideale capro espiatorio-spazzatura di giornali tipo il Mundo Deportivo che solo da lontano possono sembrare autorevoli.
2. Risparmiamo la modestissima cronaca di una giornata, dalle 4 del mattino di mercoledì alle 4 di oggi, vissuta una volta tanto fuori dalle logiche della tribuna stampa dove tutti hanno sempre già capito tutto da tempo: in fondo basta partire dal risultato e la spiegazione per il lettore-caprone viene da sola (o da sòla). Partenza morbida da Malpensa, dove su cinquemila persone solo due hanno perso i soldi del viaggio (carta d’identità scaduta in un caso e carta d’identità fotocopiata nell’altro), confronti fra i vari pacchetti del popolo in coda: alla fine è risultato che il tour organizzato dagli ultras dell’Inter è stato quello con meno ‘cresta’ su biglietto (a proposito: il terzo anello del Nou Camp costava 75 euro, quello di San Siro all’andata 22) e trasporto aereo. Nel mondo dei furbi e dei viaggi all inclusive vale la pena segnalarlo. Giornata marina ascoltando cori contro Balotelli e complimentandoci con un bambino catalano che era in gita con la sua scuola all’acquario: su cento in coda la metà (cioè le bambine) era vestita normalmente, mentre dell’altra metà tutti indossavano la maglia blaugrana tranne appunto quell’uno che aveva quella dell’Espanyol. Non è detto che avrà una vita più triste dei pecoroni, anzi, ma più difficile forse sì. In generale la città ha vissuto in maniera caldissima e corretta un tipo di vigilia a cui è ormai abituata. Nel mercato più centrale, la Boqueria, sciarpe blaugrana sopra ogni banco e battute a sfondo pallonaro con ogni cliente: impossibile fossero tutti appassionati di calcio, facile fare un po’ di sociologia copiata sull’identità catalana e cose di questo genere. Nelle città in cui c’è un unica grande squadra, o comunque una di un altro pianeta rispetto alla seconda, si riscontra un unanimismo che fa un po’ paura. In ogni dove polizia in assetto semi-cileno, con interventi solo qualche minuto prima della partita per un lancio di oggetti (di blaugrana) e qualche sberla (di interisti). In totale una ventina di persone male intenzionate, sulle quasi 99mila al Nou Camp e tutte quelle in città. Una percentuale di negatività inferiore a quella presente nei concerti dei Tipinifini o di Tracy Spencer, o di Justin Bieber se vogliamo raggiungere il target giovanile. La morale, pronta a essere cambiata alla prima occasione, è che nemmeno le dichiarazioni di guerra riescono a far combattere chi la guerra non la vuole fare. E che nemmeno Gandhi come allenatore riuscirebbe a far ragionare gli idioti.
3. Visione non televisiva della partita, dicevamo, quindi sul piano degli episodi di livello inferiore a chi l’ha vista in tivù. Sul piano del gioco invece diverse cose interessanti, anche della bisettrice della curva del terzo anello sopra alla porta di Julio Cesar nel primo tempo. Guardiola ha scelto di allargare meno il campo rispetto al solito, mettendo nel primo tempo a sinistra Gabi Milito invece di Maxwell. A proposito, controllato anche sul libro ufficiale dell’impianto che le misure sono quelle standard delle partite internazionali Fifa e Uefa (pochissime le deroghe, una la si è fatta per il Bernabeu), visto che i giornali sostengono tesi diverse: nella realtà praticare un gioco largo al Nou Camp è bello e difficile come farlo a Marassi, se i metri (105 per 68) non sono un’opinione. Non a caso quasi tutto è nato all’inizio da destra, con Xavi bravo a servire sulla corsa un Dani Alves attivissimo per quasi cento minuti. Messi quasi sulla linea dei centrocampisti e buon cacciatore di falli, oltre che ispiratore di quasi tutto (suo il tiro dell’unica parata di Julio Cesar, suo l’assist per l’occasione super di Bojan di testa). L’Inter sarebbe stata la solita Inter degli ultimi tempi senza l’infortunio dell’ultimo minuto di Pandev che ha costretto al rattoppo Chivu pur di non presentare Balotelli: opzione della disperazione se la partita si fosse messa male, mela marcia da non servire in tavola in caso di ordinata difesa.
4. La prima partita è stata quella undici contro undici, con il gioco appoggiato su Sneijder: difesa ordinata, ripartenza ordinata e senza particolare ispirazione (zero tiri in porta). La seconda partita è iniziata al 28′ dopo l’espulsione, da lontano apparsa esagerata, di Thiago Motta. Difesa ordinata, con Eto’o arretrato a sinistra, e ripartenze quasi azzerate. Solo lanci per un Milito in netto calo, lanci nemmeno precisi: in parte per le circostanze e molto per scelta. Un’idea forse mutuata dalla Stella Rossa Belgrado dei primi anni Novanta: difesa eccezionale e dalla tre quarti in su talenti formidabili che più o meno qualcosa riuscivano sempre a fare. Soprattutto, quella squadra, non voleva regalare agli avversari il vantaggio di un ribaltamento rapido dopo la riconquista del pallone. In molte occasioni la scelta di spazzare non è stata dettata ieri dall’affanno, arrivato solo nel drammatico finale, ma da una scelta ovviamente possibile solo partendo dal tre a uno.  Il Barcellona si è trovato così nella necessità di creare da zero, con il vantaggio di un uomo in più ma senza quello di una squadra avversaria allungata. Nella titolazione per tifosi la partita è stata quindi giustamente definita eroica, ma in realtà è stata anche intelligente: con Lucio e Samuel che hanno spazzato duecento palloni, ma centonovanta erano molli e a mezza altezza.
5. Alla fine a Moratti rimangono una finale che ai nerazzurri manca dal 1972, contro l’inimitabile Ajax di Cruijff e Neeskens, e lo psicanalitico paragone fra Mourinho ed Herrera. Chi ha visto le partite intere di quell’Inter in bianco e nero potrà essere d’accordo sul fatto che all’epoca il Mago avesse più contropiedisti ma anche meno centrocampisti di sacrificio: Picchi e Guarneri avevano decisamente più problemi dei centrali odierni, in trasferta era quasi sempre Fort Apache. Il Barcellona sul piano concreto non ha perso niente: il biglietto della lotteria dei grandi è sempre in mano, a volte va bene e a volte va male. Poi può andare anche sempre male, come al Chelsea, ma lo status è una cosa che può prescindere anche dalle coppe alzate. Sul piano dell’immagine la squadra catalana ha perso qualcosa, con l’aggressione di Victor Valdes, gli idranti antifesteggiamento che fanno parte del kit della stizza ad ogni latitudine, il ‘signore’ Guardiola che ha interiorizzato l’ego smisurato e provinciale (da piccola patria) dei blaugrana e dopo soli due anni da allenatore è trattato da berselliano venerato maestro (Cruijff e Rijkaard allenavano invece come cani). Ma l’educazione, che quando è applicata sulla delusione ha ancora più valore, rimane. E l’inferno del Nou Camp? Tante persone che hanno tifato per la loro squadra e poi sono andate a casa, a volte non c’è bisogno di mitizzare la NBA. Il resto della giornata è rabbia, orgoglio, fortuna, ricordi, rivincita, cantori della sfiga trasformati in Pindaro, opinabi
lità di ogni episodio, emozioni, paura, desiderio. Eterno sabato del villaggio, forse leopardiano ma di sicuro alla Max Pezzali, sperando che non arrivi mai la domenica.
Stefano Olivari
stefanolivari@gmail.com

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