Un principe da Dakar
14 Gennaio 2009
di Pippo Russo
A casa sua, in Qatar, sarà anche “legibus solutus”. Perché di quel paese il signor Nasser Al Attiyah è il principe, e dunque le leggi suole vergarle da sé o in famiglia, su una scrivania che può essere indifferentemente il tavolo della sala da pranzo di corte o il suo addome. Ma se partecipa a una gara sportiva – fosse pure una competizione sputtanata come la Dakar, e persino nella sua edizione più farlocca disputata in Sud America –, allora deve rispettare i regolamenti al pari del più pezzente dei concorrenti. E invece il principe, noblesse oblige, ha barato. E mica in modo raffinato, ma come un “fruttarolo” da calcioscommesse Anni Ottanta. Nella sesta tappa celebrata giovedì, con percorso fra san Rafael e Mendoza (Argentina), alla guida della sua BMW non si è fermato al controllo previsto dopo 38 dei 232 chilometri di gara. Andava di fretta e ha tirato dritto. Sapete com’è, la trance agonistica. E poi, come potevano pretendere mai quei plebei di controllare Sua Altezza Reale? Senza nemmeno approntare un picchetto d’onore, fra l’altro. Per forza che alla fine della tappa risultava in testa alla classifica generale. Agli organizzatori, con la massima riverenza e estremo rispetto del cerimoniale, non è rimasto altro che dirgli di smammare. Squalificato, e impari a giuocare secondo le regole come ogni comune mortale. Sicché, dopo la morte del motociclista francese Pascal Terry, la Dakar si trasforma da tragedia in farsa. Meglio così, in fondo. Quanto al principe, un dubbio: chissà se dalle sue parti è ancora previsto, per i bari come per i ladri, il taglio della mano. Perché in quel caso gli toccherà infliggersi almeno una pubblica cerimonia di squarciatura di pneumatici.
(Per gentile concessione dell’autore, fonte: il Messaggero di sabato 10 gennaio)
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