Toccato il gran fondo

9 Marzo 2007 di Stefano Olivari

1. Se l’espressione fa ancora impressione: l’ha scritto anche «Il Sole 24 Ore». Le Gran fondo ciclistiche sono state, nell’ultimo decennio, un autentico fenomeno d’affari e cultura sportiva. Un’impresa-sistema con pochi eguali, nel panorama europeo. Si sono quindi affermati grandi eventi di massa, per la pratica agonistica quasi-amatoriale (tra i primi venti della Nove colli 2006: Raimondas Rumsas, Vladimir Smirnov, Emanuele Negrini, David Tani, Stefano Giraldi, Ellis Rastelli, Igor Pugaci, Ruslan Ivanov…). Hanno dato prova di sicure capacità manageriali, poco-più-che-volontari promossi capitani d’industria sul campo: al confronto, gli animatori di certe corse professionistiche stanno indietro diverse piste. Buoni ultimi, anche fior di marchi e signori marchettari sono passati all’incasso del carrozzone che tira, alla corsa contro il tempo. Tra gli scatti stracafonal, quelli del figlio di papà-membro CDA-responsabile Comunicazione, in gara non tanto per limare le ruote all’ex campione, invitato all’happening con tutti gli onori; ma per anticipare la volata lunga del solito competitor (altra famiglia di biciclettai della domenica, con GF dedicata). Loro e quel loro vizietto del feticismo del pedale, che fa brand, immagine e mercato.
2. Hein Verbruggen, l’ex presidente della federazione ciclistica internazionale, è «il politico sportivo più influente dell’anno». Primo dei «venticinque uomini d’oro» messi in fila da «Around the Rings» (il «Forbes» dello sport mondiale). L’olandese, volato a capeggiare la Commissione CIO per Pechino 2008, è stato in sella al governo della bici per quasi tre lustri: spadroneggiando in lungo e in largo, dettando legge e linea di una rivoluzione che ha portato molti soldi e non pochi problemi. Di questi ultimi, i primissimi sono ancora sul tappeto. Basti pensare alla mano UCI allungata sull’attività di vertice, però pestando i piedi ai grandi organizzatori. Senza dimenticare un’astrusa compilazione di calendari poi illegibili – quelli locali-particolari sovrapposti al principale – e tensioni mai alleggerite con federciclo di mezza Europa (Italia compresa). Una volta che il patron ha deciso di dedicarsi al business dei cinque cerchi, gli sono succeduti verbruggeriani devoti con neanche la metà del carisma di chi ha inventato la Coppa del Mondo: e quel che è peggio, con nessun programma per la testa. Letto ora della sua ascesa irresistibile: che fare, rimpiangere il Verbruggen che non c’è più o caldeggiare quello che non c’è ancora?
3. Merckx chi? Alessia? Gian Paolo Ormezzano prova a dimenticare Zaccheroni, abbandonandosi al ricordo dei tempi andati. Meglio: dei templi che furono, dato che gli «sembra di coltivare certi pensieri a livello di setta, di congregazione, di religione per pochi, di dogmi archeologici». E il gran granata scopre così che di Cannibale, per tanti, ce n’è uno e uno solo: Hannibal Lecter. Sacrilegio! GPO vede rosso, ma non carica. Non si straccia le vesti, non infierisce sul silenzio degli innocenti. Non se la prende neanche con quelli che da Gerry Scotti confondono Bartoli con Bartali. Piuttosto, l’autore di una formidabile Storia del ciclismo (Longanesi & C., Milano 1977) ammette le sue colpe: «Sono irritato se non altro con me stesso, che facendo il giornalista dovrei avere contribuito (e ancora contribuire) all’operazione di mantenimento, nel divenire del tempo, dei nomi storici». Già. Nota quasi-storiografica a margine: ma non è che la grande retorica del ciclismo e dei ciclisti si è infine fermata al 2 gennaio 1960, tralasciando i decenni a seguire? A proposito: perché, cos’è mai successo quel giorno, nella settimana dell’esordio di Tutto il calcio minuto per minuto?

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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