Libri

The rise, l’Italia dentro Kobe Bryant

Stefano Olivari 10/01/2022

article-post

Un altro libro su Kobe Bryant? Complice il self-publishing ne sono stati scritti centinaia, alcuni di alto livello e tanti pura spazzatura: quello che esce domani è almeno nelle premesse qualcosa di appartenente al primo gruppo. The Rise – Kobe Bryant and the pursuit of immortality, scritto da Mike Sielski, non è basato su rimasticature ma su un centinaio di interviste originali, con un filo conduttore chiaro: la formazione di Kobe. E parlare della sua formazione significa Italia, visto che dai 6 ai 13 anni, dal 1984 al 1991, il futuro fuoriclasse ha vissuto nel nostro paese al seguito del padre Joe.

Rieti, Reggio Calabria, Pistoia, Reggio Emilia: per ‘Jellybean’ straordinari lampi di classe individualistica, ma senza quella ossessione per la vittoria che avrebbe caratterizzato il figlio. In attesa di leggere The Rise ci siamo fatti bastare qualche anticipazione contenuta in un articolo del New York Post segnalato da Dan Peterson, fresco di 86 anni. In quell’età, decisiva per la formazione di chiunque, Kobe visse come un bambino italiano e soprattutto come un bambino con una vita familiare stabile: anche senza fare storytelling sono in pochi nella NBA a potersi ricordare un’infanzia simile. Giusto i figli dei giocatori, come Steph Curry, e pochi altri.

Fra l’altro Joe Bryant la famiglia stava per sfasciarla lo stesso, durante la sua carriera NBA, quando da già sposato cercò di sfuggire ad un controllo della polizia e fece un incidente: nell’auto c’erano una vecchia fidanzata e soprattutto cocaina in quantità non modica, due borse piene. Era la NBA degli anni Settanta, quella che stava fallendo come la ABA prima che Magic e Bird la salvassero e Jordan la traghettasse verso la terra promessa. Comunque in Italia Bryant padre diventò, più o meno, tutto casa e famiglia.

Ma soprattutto Kobe diventò culturalmente italiano, al punto che quando tornò per la high school a Philadelphia non aveva alcuno dei riferimenti culturali dei suoi coetanei e soprattutto parlava un inglese diverso dal loro. Non vediamo l’ora di leggere. Di sicuro la grandezza di Kobe Bryant non risiedeva soltanto nella vittorie e nelle statistiche, perché in fin dei conti tutti i grandi hanno la stessa mentalità, ma in questo suo sentirsi diverso dagli altri, in Italia come negli Stati Uniti.

Potrebbe interessarti anche

  • preview

    Dan Peterson il numero uno

    «Sono a casa: Milano, sabato mattina, non stavo facendo niente in attesa della tua telefonata». Pronunciato esattamente così, con quel tono di voce che sa di grattacieli, blues, bibite frizzanti e gomma da masticare. Dan Peterson, 89 splendide primavere compiute lo scorso 9 gennaio (e mai un quinto fallo compiuto a livello umano), è tuttora […]

  • preview

    I pionieri

    Telecapodistria, per tutti semplicemente Capodistria, è stato per diversi anni il quarto tasto del nostro televisore, non diciamo del telecomando perché il primo telecomando lo avremmo visto nel Natale 1977, insieme al televisore a colori. Basterebbe questo, insieme al numero di telecronache di Sergio Tavčar di cui siamo stati spettatori, per apprezzare I pionieri – […]

  • preview

    L’ultimo centravanti all’inglese

    Nel giorno del quarantennale del famoso gol di Mark Hateley nel derby di Milano pubblichiamo un capitolo del libro Il gol di Hateley – Tre anni di Milan, il libro che Luca Ferrato ha scritto per Indiscreto e in vendita su Amazon. Opera dedicata non soltanto a quell’affascinante Milan di transizione da Farina a Berlusconi,ma […]