Sognando la Superlega

2 Aprile 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
10 – La Prima Guerra Mondiale finisce, per l’Italia, il 4 novembre del 1918 ma organizzare un campionato di calcio sembra in quei frangenti l’ultimo dei problemi. Tutto rimandato al 1919, con i grandi club che pensano sia arrivata l’ora di copiare davvero l’Inghilterra attraverso veri campionati nazionali divisi per categorie di valore.
La FIGC approva un progetto strutturato su 8 gironi regionali, con le prime 2 classificate a giocare un torneo finale a 16 squadre per assegnare il titolo di Prima Categoria. I club più prestigiosi e in generale tutti quelli delle grandi città spingono invece per un campionato a 16 o 24 squadre, senza retrocessioni o promozioni dalle categorie inferiori: di quella che oggi chiameremmo superlega si parla insomma già nel 1919. Invece su pressione dei piccoli club, ma anche di un governo che teme di perdere ulteriore consenso in periodo di crisi economica, la FIGC si esibisce in un ribaltone e lascia tutto come nel recente passato: torneo Peninsulare, torneo Maggiore, eccetera.
Il problema principale è però che molte società sono state distrutte dalla morte dei loro uomini in guerra ma soprattutto da problemi finanziari: la catena dei fallimenti è praticamente infinita, delle fusioni si perde il conto. Spaventata dalla situazione, la FIGC applica la politica del ‘tutti dentro’. La Prima Categoria raggiunge così numeri assurdi, visto che ogni Comitato Regionale ha facoltà di decidere il numero dei partecipanti al suo torneino di Prima Categoria. La gente sembra avere dimenticato il calcio, gli stadi sono vuoti, la stampa riserva a questo sport quasi lo stesso spazio di venti anni prima. E’ dura per tutti.
Fra i mille problemi del calcio italiano nel 1919 uno dei peggiori è lo strapotere dei comitati regionali, che di fatto possono inserire in Prima Categoria chiunque. E anche far retrocedere in Promozione chiunque, vista la vaghezza delle regole per decidere le retrocessioni. Sorvoliamo poi sulle questioni non strettamente calcistiche, basti sapere che le cosiddette Terre Redente (la Venezia Giulia, in sostanza) non riescono a costituire un loro comitato regionale e vengono rimandate alla stagione successiva. Si prosegue così con il tristemente noto schema del Torneo Peninsulare e del Torneo Maggiore, con la solita finale senza equilibrio. Campione del Centro-Sud è la Fortitudo Roma, mentre nel toneo principale al termine di un numero assurdo di partite e di gironi l’Inter prevale di poco su Juventus e Genoa. In un gironcino finale a tre deciso a torneo in corso (in origine avrebbe dovuto essere a sei) e giocato fra mille polemiche e conflitti di interesse.
Per dire, Juventus-Genoa viene arbitrata dal…vicepresidente dell’Inter, Varisco, che è anche il capo degli arbitri. Varisco assegna alla Juve un rigore che secondo i genoani è inesistente, poi un gol in sospetto fuorigioco dei rossoblu scatena una rissa. Il bello, stando ai giornali dell’epoca, è che si parla degli errori dell’arbitro ma non dell’assurdità che sia dirigente di una squadra rivale delle due in campo. Ai tempi si recitano più parti in commedia, in quasi ogni società, ma non è una prerogativa solo del calcio italiano. Basti pensare che al Mondiale di 10 anni dopo in Uruguay, il primo della storia, molti arbitri saranno anche dirigenti delle squadre partecipanti. Tornando al campionato 1919-20, scontato l’epilogo, con il secondo scudetto (non ancora scudetto) della storia nerazzurra che però fatica più del previsto a superare il Livorno. Il calcio in Italia è diventato una cosa importante, nemmeno la guerra è riuscita a spegnare la passione, ma non ancora una cosa seria. (10-continua)

stefano@indiscreto.it

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