Ciclismo
Se il mandante non è Armstrong
Stefano Olivari 03/08/2014
Lo scoop della Gazzetta dello Sport sulla riapertura dell’indagine per la morte di Pantani è stato accolto in modo molto giornalistico dalle altre testate. Da una fredda ‘ripresa’, tanto per non fare vedere che si rosica, alla minimizzazione ‘che tanto già all’epoca c’erano molti fatti non chiari’ passando per la solita cavillosità: dopo l’esposto della famiglia Pantani, basato su una nuova perizia, la riapertura dell’inchiesta era di sicuro un atto dovuto. A noi sembra in ogni caso un grande scoop, perché la sola ipotesi che uno degli italiani più amati di sempre sia stato ucciso invece che essere morto per overdose o collasso dovrebbe essere una notizia, in mezzo a finte autoriduzioni di ingaggio e ad analisi tattiche in aeroporto. La cosa incredibile è che c’era già quasi tutto, a livello di sospetti, nel libro di Philippe Brunel di otto anni fa, a partire dall’autopsia fatta da cani (sbagliata anche l’ora del decesso)… Poi tutto finirà in niente, magari, con altre puntate fra qualche anno sul modello di Mattei, Pasolini, eccetera. Il problema, come al solito, siamo noi. Cosa ci aspettiamo di trovare, come lettori e tifosi di Pantani al netto di un ventennio da asteriscare? Nel senso: quale verità giudiziaria ancora non emersa ci farebbe ‘stare meglio’? Che sia stato ammazzato da amici, da spacciatori, da gente incontrata per caso, che si sia suicidato, cambia poco del contesto che lo ha portato da solo e da tossico in quel residence. A meno che i mandanti fossero Armstrong, Ullrich o Simoni. È quindi comprensibile la battaglia della madre Tonina, così come il lavoro giornalistico (di Francesco Ceniti), mentre ci risulta incomprensibile l’interesse quasi morboso, riscontrato nelle ultime ore, anche da parte di chi Pantani lo aveva a malapena sentito nominare. Se si riesce a tenere ‘alta’ questa storia ancora per un mese è però probabile che quel residence di Rimini si possa meritare un plastico. Alla memoria, anche in questo caso.