Schiavi dell’atletica

9 Settembre 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

1. Con buona pace dei nostri fuoricorso attenti solo a quanto accade negli Stati Uniti, il record dello schiavismo vero è detenuto da paesi musulmani: secondo ‘Storia mondiale della schiavitù’, dello storico tedesco Egon Flaig, nel corso dei secoli sono stati circa 17 milioni i neri (nell’occasione, purtroppo per loro, negri) dell’Africa occidentale ad essere mandati con la forza nei paesi arabi, e circa 11 in Europa o nelle Americhe. E’ quindi giusto, almeno secondo noi, che i loro discendenti si sentano tuttora derubati dell’identità, mentre fa ridere che soprattutto negli Stati Uniti tante conversioni di neri all’Islam (da quelle serie alla Clay-Alcindor a quelle trash alla Tyson-Michael Jackson) siano state accompagnate da argomentazioni in chiave anti-schiavista.
2. Nel file ‘Ma cosa ti aspettavi?’ si può quindi archiviare la vicenda di Yusuf Saad Kamel, il grande miler keniano che dal 2003 corre per il Bahrein e che proprio il mese scorso è diventato a Berlino campione mondiale nei 1500. Kamel, che altri non è che il figlio dello strepitoso Billy Konchellah (oro negli 800 mondiali a Roma 1987 e Tokio 1991, prima di dare notizie di sè solo come tossico e stupratore) e che si chiamerebbe infatti Gregory Konchellah, si è infatti pentito della scelta quando in seguito ad un litigio con la federazione sui premi gli è stato simpaticamente ritirato il passaporto. Situazione rientrata alla vigilia dei Mondiali ed adesso riesplosa, con Kamel-Konchellah che ha chiesto alla federazione keniana di farlo…ritornare keniano per evitare guai peggiori. Non solo, ma l’atleta ha accompagnato la richiesta con la denuncia di un sistema noto in tutto il mondo: reclutamento di atleti minorenni, con quasi-rapimenti di bambini, rispetto minimo dei diritti umani solo nel caso dei campioni da medaglia (nei primi due casi quello che più o meno fanno i club calcistici europei, anche se dicono che il cattivo sia solo Abramovich).
3. A prescindere dallo schiavismo, chi ha a cuore l’atletica dovrebbe battersi contro le naturalizzazioni spazzatura. Per questo sentire che Franco Arese vuole ripartire dal cambio di passaporto del quattrocentista Haliti (albanese), della centista Ekeh (nigeriana) e della triplista Derkach (ucraina) significa rinunciare all’ultima cosa che l’atletica ha in più rispetto agli altri sport: la cultura, che rende più importante un miglioramento rispetto ad una medaglia con scorciatoie. Doping o altro, anche senza la retorica da Momenti di gloria. Poi il Qatar può anche insozzare Eurosport con le sue pubblicità regresso, ma lo sport è un’altra cosa.
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