Scariolo uomo a tutto campo

3 Dicembre 2022 di Stefano Olivari

Cosa manca a Sergio Scariolo per essere considerato il più grande allenatore italiano di ogni tempo? Niente, e non soltanto per il palmares. La sua autobiografia, Uomo a tutto campo – Storie vincenti di un gestore di campioni, che abbiamo appena finito di leggere, a dispetto del titolo agghiacciante non è un elenco di partite e di vittorie ma il racconto di come un ragazzo, ora sessantunenne, bresciano senza un passato da giocatore di pallacanestro sia riuscito ad entrare in sintonia con fuoriclasse, classe media e panchinari in Italia, Spagna, Russia ed NBA, con i club e con la nazionale, con grandi budget o pochi soldi, in metropoli o in provincia.

Se Scariolo non fa un elenco delle sue tante vittorie non lo facciamo nemmeno noi, tanto gli appassionati le conoscono. A livello sentimentale quella di club che più gli è rimasta dentro, abbiamo letto fra le righe del libro uscito l’anno scorso per Baldini + Castoldi, è il campionato spagnolo con Malaga nel 2006, la squadra di Pepe Sanchez e Jorge Garbajosa, anche per il rapporto profondo con la città. A livello di nazionale è difficile scegliere fra le tante medaglie spagnole, ma Scariolo cita con molto affetto l’Europeo 2015 (per quello che conta, pensiamo che dei mille Spagna-Francia la semifinale di quel torneo sia stato il più emozionante, fra l’altro con il miglior Pau Gasol di sempre) ed anche il Mondiale Militare 1985 con l’Italia, unica sua esperienza azzurra.

Scariolo pensa di dovere tantissimo a due allenatori in particolare: Riccardo Sales, del quale era assistente nella meravigliosa Cidneo Brescia di inizio anni Ottanta (belle le pagine su quando accompagnò Tom Abernethy alla visita oculistica che di fatto chiuse la sua carriera), e Valerio Bianchini del quale fu assistente a Pesaro prima di prenderne il posto quando Bianchini tornò a Roma, diventando nel 1990 il più giovane allenatore a vincere lo scudetto, a 29 anni, con la squadra di Gracis, Cook, Daye, Magnifico e Costa.

Da Sales scrive di avere appreso un modo di allenare che valorizzi i giocatori, più che le idee dell’allenatore. La grande lezione di Bianchini è stata invece la gestione dei campioni. Una lezione che peraltro gli ha dato anche la moglie, Blanca Ares, campionessa d’Europa 1993 con la Spagna, e di cui Scariolo ammette l’utilità: l’allenatore che “non ha giocato” deve avere l’umiltà di capire come ragiona un giocatore vero. Se così non fosse stato, dubitiamo che i Gasol, Rudy Fernandez, Rubio, Rodriguez, Garbajosa, Llull, eccetera, lo avrebbero mai considerato il loro allenatore ideale. E lo stesso discorso vale per i gregari.

Scariolo non si inserisce nel filone, davvero da bar, che sminuisce l’importanza degli allenatori (portato avanti anche dai tanti coach finti modesti), ma ha idee piuttosto chiare sul limite che non bisogna superare, anche in un’era in cui si gioca in 12 e quindi l’overcoaching è sempre dietro l’angolo. Scariolo è comunque tutt’altro che un players’ coach, anzi l’organizzazione soprattutto difensiva delle sua squadre nella pallacanestro di oggi spesso sorprende chi pensa di risolvere tutto con il penetra e scarica. Anche all’ultimo Europeo, pur con l’asterisco del Lorenzo Brown che peraltro hanno quasi tutti, gli avversari di una Spagna in ricostruzione trovandosi di fronte una normalissima zona hanno ignorantemente perso la testa.

Del libro ci è piaciuto il tono, la passione uguale con cui racconta il minibasket e le NBA Finals, e anche il racconto delle sconfitte, accettando serenamente la casualità di un tiro che dopo avere rimbalzato sul ferro va dentro o fuori. Una casualità che decide partite, carriere e vite, ma che va accettata se non si vuole andare fuori di testa. Non ci è invece piaciuto il suo passare sopra alle ingiustizie, vere o presunte, subite in passato: deludenti, secondo noi, le righe sulla Siena di Minucci alla luce di ciò che Scariolo aveva detto live. In generale mancano i cattivi, che invece nello sport reale abbondano, soprattutto fuori dal campo.

Interessanti le parti sulla vita parallela con Ettore Messina, di due anni più vecchio ma come lui formatosi da assistente nella memorabile Serie A degli anni Ottanta. Curiosamente è soltanto adesso, da sessantenni e passa, che guidano squadre paragonabili per budget e ambizioni nello stesso campionato. In comune anche una grande passione per Chuck Jura, che Scariolo ha preso da Sales (primo allenatore italiano di Jura) e Messina a Mestre (emozionante il pranzo di qualche settimana fa), ed in generale per un gioco, anzi IL gioco, che per quelli della loro generazione ha rappresentato il piacere della scoperta. Un piacere che c’è ancora oggi e che anche a noi, di qualche anno più giovani, scalda il cuore.

stefano@indiscreto.net

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