Saltiamo con Gazza

21 Settembre 2007 di Stefano Olivari

Ci riteniamo appassionati di storia del calcio? Bene, mettiamoci alla prova, provando ad elencare tutte le squadre vincitrici della finale per il terzo posto nella storia del Mondiale: non il risultato esatto, non esageriamo, basta solo il nome della squadra. Un piccolo e bastardo test fatto con amici competenti ha portato al risultato previsto, come quasi tutti i sondaggi: la maggior parte di chi discute del ginocchio di Kakà o delle birre di Adriano ignora quale squadra sia arrivata terza non nella preistoria, ma a Germania 2006. Eppure le partite orrendamente definite ‘finalina’ hanno sempre avuto per noi un fascino avvolgente: quello delle grandi avventure che stanno per finire, ma che al tempo stesso non sono ancora finite, unito alla percezione di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Insomma, i giocatori di Italia e Inghilterra che nel 1990 a Bari saltellano insieme è una delle immagini più emozionati della nostra vita. Ci accontentiamo di poco? Forse…
Ad Uruguay 1930 non c’è nessuna finale per il terzo posto, Jugoslavia e Stati Uniti tornano a casa dopo il 6 a 1 preso nelle semifinali rispettivamente dai padroni di casa e dall’Argentina, cioè le due dominatrici del decennio precedente. Questa malinconica ed emozionante sfida parte nel 1934, quando all’Ascarelli di Napoli la Germania supera tre a due un’Austria priva di Sindelar, mandato letteralmente all’ospedale (ci rimarrà per diversi giorni) dalle randellate italiane a San Siro. Vantaggio tedesco con Lehner dopo 24 secondi, con quello che fino a Cile 1962 (Masek in Cecoslovacchia-Messico, 15 secondi) rimarrà il gol più veloce nella storia del Mondiale. Siamo nel 1938, al Parc Lescure di Bordeaux: il delusissimo Brasile viene umiliato dalla Svezia nel primo tempo, ma sotto di due gol trova la forza per reagire e soprattutto ritrova il grande Leonidas, assente contro l’Italia per un infortunio dal supermotivatore Pozzo poi abilmente trasformato in manifestazione di snobismo. Per il fenomeno due gol e tanta rabbia, oltre che il titolo di capocannoniere, per il quattro a due finale contro una squadra in cui esordisce il giovane Erik Nilsson, che insieme allo svizzero Alfred Bickel detiene un fantastico record: quello di aver giocato nella Coppa sia prima della Seconda Guerra Mondiale che dopo. Curiosità nella curiosità: arbitra Langenus, il belga della finale Uruguay-Argentina di otto anni prima. Quello dell’assicurazione, eccetera…
Ovviamente nessuna finale nel 1950 in Brasile: nel girone decisivo però, sempre in quel famigerato (per i brasiliani) 16 luglio si gioca oltre a Brasile-Uruguay anche Svezia-Spagna. La Svezia campione olimpica, allenata dall’inglese George Raynor (qualche anno più tardi guiderà la Lazio, prima di dirigere di nuovo la Svezia al Mondiale 1958), dopo avere eliminato nel girone eliminatorio l’Italia di Boniperti, Parola, Campatelli, Carapellese, ed avere sfiorato nel girone finale l’impresa con l’Uruguay, chiude alla grande il suo Mondiale a San Paolo, in un Pacaembu quasi deserto, battendo tre a uno la Spagna di Zarra. Non sono della partita Hans Jeppson e Nacka Skoglund, ma in campo si vede una squadra sola. Erik Nilsson, il nostro Erik Nilsson, c’è: capitano, come Bickel. Nel 1954, a Zurigo, si torna alla finale, con l’Austria di Hanappi, Happel (peraltro assente in questa partita) e Ocwirk che vince il centesimo match della fase finale del Mondiale battendo per tre a uno i resti dell’Uruguay campione. In Svezia la finale per il terzo posto serve soprattutto a Just Fontaine, con quattro gol, per dare una dimensione enorme al suo primato nella classifica marcatori. Tredici gol, in una singola edizione primato imbattuto e forse imbattibile: sei a tre la vittoria sulla Germania Ovest. In Cile, nel 1962, i padroni di casa battuti in semifinale da Garrincha si rifanno sulla Jugoslavia con il gol vittoria segnato da Rojas quasi allo scadere. Wembley 1966, due giorni prima della finale vera e propria: il Portogallo di Eusebio, superato in semifinale dai padroni di casa, batte due a uno l’Urss di Jascin.
Al 17 giugno 1970 dell’Azteca sono stati dedicati, anche in Germania, vagonate di articoli, libri, documentari, film. Molto di meno, diciamo pure niente, per quanto avvenuto all’Azteca tre giorni dopo: vittoria fortunatissima della Germania Ovest grazie ad un rasoterra di Overath, con l’Uruguay che costringe Horst Wolter, in porta al posto di Maier, ad una prodezza dietro l’altra. Uno a zero anche il risultato del 1974: a Monaco, nello stesso stadio dove il giorno dopo si sarebbe giocata la madre di tutte le partite della storia del calcio, gol di Lato per la Polonia e Brasile di Zagallo giustamente quarto. Confrontando le formazioni con le rose, si tratta forse della finale per il terzo posto giocata più seriamente nella storia: nel Brasile in campo Ademir da Guia, talento in parte incompiuto ma soprattutto figlio dell’immenso difensore Domingos da Guia, nel 1938 presente in Brasile-Polonia (sei a cinque, Wilimowski day con quattro gol). In molti, ma soprattutto Dino Zoff, ricordano la finale del 1978 al Monumental di Buenos Aires con il solito legno di Bettega, il gol del vantaggio di Causio e poi i due tiri ad effetto di Nelinho e Dirceu, per il due a uno finale.
La seconda volta della Polonia arriva nel 1982: squalificato nella semifinale con l’Italia di Bearzot, Zibi Boniek rientra e trascina i suoi alla vittoria contro una Francia priva di molti titolari ed ancora sotto choc per la partita di Siviglia con la Germania Ovest: ad Alicante finisce tre a due. Puebla 1986: la Francia ha perso ancora con la Germania Ovest in semifinale, ma in circostanze ben diverse, e soprattutto si rende conto di essere alla fine del ciclo di Platini, quindi pur con qualche riserva di troppo sputa sangue e senza Le Roi in campo batte quattro a due il Belgio nei supplementari. Un’epoca che si chiude: il senso della finale che tanto ci piace è questo, ed Italia-Inghilterra 1990 lo sintetizza alla perfezione. A Bari vantaggio di Roberto Baggio, pareggio di David Platt e rigore-vittoria di Schillaci, che con quel gol supererà Tomas Skuhravy nella classifica marcatori, vincendola a quota sei. Quell’immagine finale, con tanto di ola e di saltelli a ranghi misti, non ce la dimenticheremo mai: gli anni Ottanta che finiscono, con un’uscita sbagliata (di Zenga, ma anche di tutta una generazione) che non ci fa perdere la voglia di scherzare: Gazza e Berti, la nostra risposta ideologica alla cupa seriosità degli anni Settanta ed a quella in arrivo.
La Svezia asfalta nel 1994 a Pasadena la Bulgaria, con quattro gol a zero: la squadra di Dimitar Penev ha l’unico obiettivo di far segnare Stoichkov, per fargli superare Oleg Salenko nei marcatori, ma non riesce nemmeno in questo. Al Parco dei Principi, un giorno prima della finale a Saint Denis, la Croazia festeggia il suo miglior risultato di sempre battendo due a uno l’Olanda, con Suker che si smarca da Vieri e Batistuta e diventa topscorer. Un finale simile all’Italia-Inghilterra 1990 si ha nel 2002, a Daegu, con tanto di bambini in campo: la Turchia di Gunes, con in campo un gruppo irripetibile (Hakan Sukur, Emre, Tugay, Alpay, Basturk, Rustu, Fatih) batte la Corea del Sud di Hiddink per tre a due ed è come se fosse diventata campione. Due squadre felici nel 2002, due grandi deluse l’anno scorso: a Stoccarda Klinsmann saluta la Germania con una grande prestazione dei suoi: tre a uno, con Schweinsteiger trascinatore e Stoccarda in delirio. Gioia, malinconia, qualcosa di bello che finisce. La cattiva poesia potrebbe continuare a lungo, ma in fondo ci interessava solo dire che queste partite hanno avuto un senso.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

Share this article