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Arte

Passaggio in India, il destino di due mondi

Paolo Morati 12/09/2014

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C’è un film che fin da ragazzi ci ha affascinati, misteriosamente nella sua complessità, considerato che quando uscì nelle sale avevamo solo 13 anni per poi rivederlo qualche tempo dopo in televisione. Si tratta di Passaggio India, diretto da David Lean e ambientato all’epoca del colonialismo inglese in (appunto) India e in particolare negli anni ’20 del secolo scorso.

Non sarà stata tanto la storia (o non solo quella, ispirata all’omonimo romanzo di Edward Morgan Forster pubblicato nel 1924) a coinvolgerci quanto le splendide ambientazioni e atmosfere capaci di mettere a confronto la convivenza di due mondi destinati ad essere paralleli per poi intersecarsi artificialmente e con inevitabili ricadute sui rispettivi destini.

Il viaggio di Mrs Moore (la straordinaria Peggy Ashcroft), che parte per l’India insieme ad Adela Quested (Judy Davis), fidanzata del figlio, è solo la scusa per portare lo spettatore a osservare i rapporti tra le due civiltà – inglese e indiana – quest’ultima identificata con il medico dottor Aziz (Victor Banerjee), dai sentimenti ambivalenti verso i colonizzatori e trascinatore della massa per via dell’accusa di cui rimarrà vittima.

Passaggio in India è un film interessante, su un’altra epoca e di un’altra epoca cinematografica per quanto uscito ‘solo’ trenta anni fa. Peccato che qui in Italia non sia ancora stato ripubblicato in digitale (disponibile invece in versione originale, Blu-ray compreso) perché raccoglie in poco più di due ore le difficoltà (ma anche le opportunità?) del mondo coloniale, della convivenza e del sospetto, nel momento critico di ‘passaggio’. Da riguardare, in silenzio, con calma, come quando si osserva un paesaggio da un treno che rallenta.

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