Re del Queens

26 Agosto 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Chi rimpiange la bella televisione di una volta, sotto l’effetto delle mille trasmissioni nostalgia (aaahh, che meraviglia la tivù dei ragazzi che iniziava alle 17…), forse non ricorda che fino all’inizio degli anni Ottanta degli Us Open di tennis in Italia si erano visti solo pochi fotogrammi. Il clamoroso ottavo di finale del 1978, la prima edizione disputata a Flushing Meadows (oltre che la prima sul cemento, dopo decenni di erba e una parentesi sulla terra), fra Jimmy Connors e Adriano Panatta sarebbe stato televisibile da noi solo molti anni più tardi, i primi ricordi dalla terra dei cachi quindi coincidono con l’inizio dell’era McEnroe. Nel 1979 il ventenne del Queens (sia pure nato in Germania, dove il padre svolgeva il servizio militare) era tutto tranne che uno sconosciuto: semifinalista a sorpresa a Wimbledon due anni prima, stava avvicinandosi alla fama planetaria di Borg ed in patria era più amato di Jimmy Connors, non fosse altro che per un patriottismo da Davis che nella sua carriera sarebbe stato una costante.
Al secondo turno Mac, all’epoca più conosciuto come Super-Brat per i suoi show anti-arbitri, riuscì ad essere superato in negativo dal declinante Ilie Nastase. Sotto nel punteggio, il geniale (con la racchetta) rumeno iniziò a contestare ogni chiamata arbitrale al punto di beccarsi anche un game penalty nel quarto set. E lì andò in scena una delle più vergognose scene mai viste su un campo da tennis, con Nastase che che pretese di parlare con il direttore del torneo chiedendogli che venisse sostituito l’arbitro Frank Hammond. Incredibilmente fu accontentato, mentre la folla (era una night session) divisa in due ululava come fino a quella data si era visto solo in certi match di Davis. McEnroe non perse la concentrazione e portò a casa la partita, arrivando poi abbastanza agevolmente alla finale dove lo aspettava il grandissimo amico Vitas Gerulaitis che in semifinale si era sbarazzato del miglior Tanner di sempre (pochi mesi prima aveva perso la finale di Wimbledon contro Borg al quinto). Quella finale incredibilmente provinciale (anche Gerulaitis era del Queens, che poi è la zona di New York dove si trova Flushing Meadows) fu vinta facilmente in tre set da McEnroe che conquistò il suo primo torneo dello Slam e superò anche Gerulaitis nella classifica ATP: Borg e Connors rimanevano davanti, ma non lo sarebbero rimasti per molto. 
Nel 1980, dopo la più bella finale di Wimbledon di sempre fino al Nadal-Federer 2008, McEnroe fece il bis a casa sua nel modo per lui più bello. Battuto nei quarti il quasi coetaneo (più giovane di un anno) e detestato Ivan Lendl: due anni dopo li avremmo visti dal vivo dare vita a una selvaggia esibizione (all’epoca l’impossibilità, almeno ufficiale, degli ingaggi nei tornei faceva fiorire questo mercato para-circense), quattro anni dopo il ceco gli avrebbe dato a Parigi la più grande delusione della carriera. In semifinale Connors, una battaglia vinta al tie-break del quinto set con la folla impazzita (a favore di Jimbo, ventottenne già calato in quella parte di grande vecchio che avrebbe recitato per almeno un decennio) e in finale il superclassico con Borg: sopra di due set, rimonta dello svedese con varianti tattiche da Wimbledon come la discesa a rete a fari spenti. Ma anche quello Us Open fu di Mac: e due, a ventuno anni.
La consacrazione nel 1981, dopo il primo trionfo a Wimbledon. Battaglia con Gerulaitis in semifinale e ultima vera sfida, non volendo considerare le partite senior, con Borg in finale. Non la prima telecronaca tennistica di Tommasi e Clerici (Canale Cinque trasmetteva anche l’allora prestigioso circuito WCT, che ebbe anche tappe italiane), ma di sicuro la prima che ci ricordiamo bene: con Clerici a sostenere che anche le righe disegnate sul cemento imprimevano un’accelerazione alla pallina. In quell’occasione il venticinquenne svedese dimostrò di essere arrivato mentalmente al capolinea. Contestando (!) educatamente qualche chiamata arbitrale, gettando diverse volte l’asciugamano (!!), lasciando il campo dopo aver perso senza nemmeno partecipare alla premiazione (!!!). Secondo la leggenda si sarebbe infilato in una macchina direttamente vestito da tennis e sarebbe scomparso. Secondo la storia il vero Borg sarebbe finito lì, nonostante il ritiro ‘ufficiale’ di due anni dopo e il commovente (non solo per la racchetta di legno) rientro con il guru nel 1991. McEnroe era numero uno del mondo. Fra i suoi successori, tutti ovviamente campioni, solo Federer avrebbe fatto sembrare il tennis qualcosa di simile a un’arte.
Stefano Olivari
(in esclusiva per Indiscreto)

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