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Quelli del Torchietto

Franco Casalini 12/03/2016

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Se in campo agiva Peterson, nella costruzione del gruppo contava di più il fuori campo, e qui gli attori principali sono… tutti gli altri, ciascuno per la propria parte. Ma, sia chiaro, non è stato un lavoro difficile, né tanto meno faticoso. Molto più semplicemente, siamo stati fortunati, perché stavamo naturalmente bene insieme, godevamo reciprocamente della compagnia altrui. Ma ci volevano delle sedi adatte. E qui Cappellari si inventò il Torchietto, cioè il ristorante di tutti i post-partita, dal 1977 al 1990, il mio ultimo anno. Il rituale era il seguente: finita la partita, Peterson si precipitava al Tork, come lo chiamava lui e dove andava a mangiare quasi tutti i giorni, si sedeva in un tavolo singolo in prima sala.

Il ristorante era suddiviso in tre sale, l’ultima delle quali, in fondo, era riservata a noi. Mentre cominciavamo ad arrivare, lui era già al consueto canarino, ovvero acqua calda e limone, la sua massima concessione al palato, e stava per levare le tende, insieme a Benito Picone, compianto tuttofare ad alto livello, biglietteria, prenotazioni e quant’altro, della società. “Ciao coach! Buona sera coach! Hello, coach” – erano i saluti, a seconda del ruolo e della lingua, sulla via di accomodarci al tavolo, dove arrivavano anche mogli e fidanzate, ospiti tanto gradite quanto paganti. D’Antoni a capotavola da una parte, Cappellari dall’altra, e via frizzi e lazzi, anche in caso di sconfitta, sia chiaro: meno frizzi, ma stessa tavolata. Venivano tutti, ed era la cosa che maggiormente colpiva i nuovi americani: e lo credo! Tris di paste fresche o hamburger e patatine? Aspetta che ci penso…

Tutti presenti, meno uno, il Gallo, le cui apparizioni al Torchietto avvenivano solo in casi speciali, tanto per fare un esempio, quando si perdeva. Aveva i suoi giri e nessuno gliene ha mai fatto non dico una colpa, ci mancherebbe, ma nemmeno un motivo di curiosità. “Libertà, ch’è sì cara..” Via via si finiva e si tornava a casa: in genere, prima gli americani, poi i giovani, poi Dino e Roberto, fino agli ultimi superstiti: io, Toni, Eleni, Grigoletti, giornalista del Giorno, Sergio, il padrone del ristorante, ospiti occasionali, e, immancabilmente, Toio, sempre l’ultimo a lasciare la compagnia, assieme a me e Cappellari. Non ricordo quante albe abbiamo visto, tanto il giorno dopo era di riposo…

Ci fu una cena, in particolare, che non dimenticherò mai. Ultimo anno, siamo di ritorno da Brescia, dove abbiamo beccato di brutto. Siedo di fianco al coach e non siamo particolarmente allegri, come si può facilmente immaginare. Nessuno ha molta voglia di parlare. Ad un tratto, il coach mi fa un cenno: vorrà parlarmi della partita, penso. “Franco, ma hai visto quella ragazza? Magnifica”. Non furono proprio le parole che usò, ma il concetto era quello. Come, dopo una sconfitta? Ecco, forse in quella occasione realizzai che aveva deciso di smettere di allenare, almeno per 23 anni e mezzo…

E via... verso una nuova avventura! (Copertina)Estratto del libro ‘E via… verso una nuova avventura! 1978-1990: la squadra della nostra vita’, di Franco Casalini con Mino Taveri (prefazione di Dino Meneghin, postfazione di Mike D’Antoni) – Editore Indiscreto, 2011. In vendita a 4,99 euro in versione eBook per Kindle di Amazon, Kobo di Mondadori, iPad e qualsiasi tipo di eReader andando sulla piattaforma BookRepublic. Disponibile anche in versione cartacea a 19 euro presso Amazon, Hoepli e tante altre librerie italiane. Distributore in esclusiva: Distribook srl

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