Quando Gianelli tifava per l’Ascoli

11 Dicembre 2011 di Franco Casalini

di Franco Casalini
Non credo di avere mai visto, in tre anni, John non dico arrabbiarsi, ma nemmeno alzare un sopracciglio. Nemmeno a Mosca, quando campò per tre giorni di pane e burro, a causa del cibo non proprio gradito. In regime di scambio di ospitalità, per motivi di valuta, il CSKA ci aveva alloggiato in un grazioso ostello della gioventù, confortevole (c’erano persino i cuscini!), ma non precisamente segnalato sulla Guida Michelin. In effetti la brodaglia rossastra che ci accoglieva immancabilmente ad ogni colazione, pranzo e cena, non era propriamente allettante, né tanto meno le aringhe, più o meno affumicate, che formavano l’unico ghiotto secondo di ogni pasto. E così vedevamo progressivamente John deperire, fatalmente, fino alla partita. Cosa che non gli impedì di giocare, al solito, con insuperato rendimento, anche se perdemmo di un punto. Ecco, l’unica parola che riesco efficacemente ad associare a John è proprio rendimento. Né punti, né passaggi, né blocchi, né difesa, né rimbalzi. Ma tutte queste voci quando ne serviva una.
Ebbi il compito, ma direi piuttosto l’onore ed il privilegio, di far da balia a lui, alla moglie Sharon e al piccolo Travis, per tutti i primi mesi della loro permanenza. Tanto da poter gustare spesso, forse troppo, la famosa torta di carote della moglie. Ragazza adorabile, sempre sorridente, ma in corsa per il posto di chef per l’ostello moscovita. Non fu alloggiato in una reggia eppure non ci fu una parola di protesta o anche solo di perplessità. Non dimentichiamo che era un eccellente e navigato giocatore NBA. Dopo lo scudetto, alla partenza di Ferracini che vi abitava, lo trasferimmo nel mitico appartamento di viale Rimembranze di Lambrate, ben più grande, luminoso e confortevole. Quello che avrebbe ospitato in seguito Premier e McAdoo e che sarebbe stata la sede di alcune feste scudetto, Natale e Carnevale. Ne fu felice, ovviamente, ma non si sognò neanche un momento di dire Ma non potevate darmelo prima? Il primo anno fu utilizzato da centro: giocava la “L” con Mike, con tiro mortifero dall’angolo come C.J. che tirava o entrava a prescindere. Lui, in più, era perfetto nel passaggio al tagliante del doppio blocco, se marcato. Credo che Franco Boselli debba a lui non so quanti canestri realizzati praticamente senza marcatore.
Sempre lui, giocando in mezzo, diede alla difesa “3” quella dimensione di completezza che la rese così efficace. Poi Dino aggiunse la definitiva botta di perfezione, ma il via fu di Gianelli. E quando arrivò Meneghin, l’anno dopo, la prima idea di Dan, fin troppo lungimirante, fu quella di far giocare Dino ala: al coach piaceva un sacco il quintetto fisico, come già detto altrove. Però non funzionava. La squadra non aveva un grande ritmo, come si dice adesso: difficile, per uno di 31 anni come Dino, cambiare il proprio gioco, quello che ti ha portato sul tetto d’Europa. Insomma, in attacco facevamo pena e niente andava per il verso giusto. Tuttavia fra Dino, Toio e John qualcuno doveva pur giocare fuori. Anzi, nel nostro classico schieramento d’attacco 2-3, addirittura due di loro. Vero, si trattava solo dell’inizio dei giochi, ma almeno uno doveva stare stabilmente fuori area. Embè, allora, che problema c’è? Lo farà John e da par suo: difatti, dopo un necessario rodaggio, vincemmo lo scudetto, proprio con la stoppata di Gianelli sul tiro di Sylvester allo scadere della finale con la Scavolini. Se avessimo perso, vai tu a rivincere a Pesaro in gara 3!
In tre anni, mai mancato ad un allenamento, mai un allenamento senza impegno, senza pronunciare dopo i tiri liberi che lo concludevano l’unica parola italiana che aveva imparato (Finito?). Poi di corsa a casa, dalla sua adorata famiglia e dalle sue passioni: Mateus Rosé, mapo, Angelo Branduardi e Ascoli calcio. Già, proprio l’Ascoli. Ma quella gliela avevamo attribuita noi, quando incontrammo la squadra al Mulino Rosso di Imola e avevamo fantasticato che ne fosse rimasto entusiasta, vedendone l’espressione rigorosamente impassibile quando li salutammo: non sapeva, of course, neanche chi fossero. Ricordo sempre la sua espressione dopo Grenoble. Era stato forse l’unico a giocare al suo livello, ma di certo non ce l’aveva con nessuno, atteggiamento peraltro che apparteneva a tutti, non uno escluso: vincevamo e perdevamo, sempre, tutti in egual misura. Eppure c’era un che di rassegnazione: al di là della profonda delusione – Abbiamo davvero giocato male, shit! – forse sapeva che era il suo ultimo anno. Che uccello, come diceva Dan!

Estratto di E VIA… VERSO UNA NUOVA AVVENTURA! – 1978-1990: la squadra della nostra vita. 
Di Franco Casalini, con Mino Taveri. 
Prefazione di Dino Meneghin, postfazione di Mike D’Antoni. 
Editore: Indiscreto. 220 pagine, 24 di foto d’epoca. In vendita a 19 euro. 
E’ possibile acquistarlo in libreria, online e anche in versione eBook.
Tutte le informazioni su coachcasalini.com 

Il libro sarà presentato dagli autori, in compagnia di Dino Meneghin e Dan Peterson, martedì 13 dicembre alle 18 e 30 presso la Libreria dello Sport di via Carducci 9 a Milano. Ingresso libero.

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