Padre ricco padre povero, istruzione batte stipendio

9 Luglio 2015 di Stefano Olivari

Confessiamo di essere lettori dei libri di Robert T. Kiyosaki, ne avremo una decina sui quindici scritti da questo imprenditore americano nel settore immobiliare, diventato anche commentatore dei fatti dell’economia ma soprattutto una sorta di guru nel settore motivazionale. Non è Proust, diciamolo subito, ma la prosa è senz’altro superiore a quella di Concita De Gregorio. Ciò che scrive lascia sempre una traccia, visto che non si tratta di verità calate dall’alto (lui è ricchissimo ma nessuno ti può insegnare a diventare ricco), bensì di riflessioni che fanno scattare nel lettore domande sulla propria vita. Domande molto lontane dal conto in banca o dalle proprietà, ma vicine al senso di ciò che stiamo facendo in questo momento. In una vita piena di impegni che noi per primi riteniamo di serie C o D, nemmeno ci poniamo il problema di come arrivare in serie A. Perché non esiste una strategia vincente, ma di certo andare avanti con il paraocchi è perdente.

Fra le opere di Kiyosaki quella probabilmente più famosa è ‘Padre ricco padre povero – Ciò che i ricchi insegnano ai figli sul denaro’, in Italia edito da Gribaudi. Titolo dichiaratamente cialtrone e che poco c’entra con il contenuto, come ammette lo stesso autore anche nella lezione impartita a una poco immaginaria giornalista, perché il primo obbiettivo dei libri è quello di essere letti. Nessuna formula per la ricchezza, quindi. Kiyosaki mette a confronto gli insegnamenti del suo vero padre, prima importante professore e poi dirigente scolastico, con quelli del padre del suo amico d’infanzia, commerciante e imprenditore curioso. Due uomini che dal punto di vista materiale possono essere considerati uomini di successo, con guadagni in gran parte delle loro vite molto simili ma con un rapporto con il denaro strutturalmente diverso. Il padre ‘vero’, quello secondo il senso comune più idealista e al quale faceva schifo parlare di soldi a tavola, era ossessionato dalle spese e dalla necessità di guadagnare sempre più denaro, quello ‘finto’ invece aveva con il denaro un rapporto laico e lo considerava un mero strumento, fra l’altro ad altissimo rischio di volatilizzarsi se usato male o tenuto prigioniero.

Il primo padre insegnava a specializzarsi in una buona scuola, a trovare un lavoro dipendente in una buona azienda o anche non dipendente ma con una identità precisa, per guadagnare il denaro necessario a sostenere il tenore di vita desiderato. Il secondo padre era per una scuola che non formasse esecutori specializzati ma gente con la propensione a imparare cose nuove nel corso degli anni, con particolare attenzione al modo di gestire i propri soldi, da considerare alla stregua di nostri dipendenti. Chiaramente Kiyosaki, pur rispettando il primo, insegnerebbe ai propri figli le cose insegnategli dal secondo: meglio investire sull’istruzione continua e su se stessi che su un lavoro di mera esecuzione, magari ad alto contenuto intellettuale ma pur sempre di esecuzione. Intendendo per esecuzione non un qualcosa di ripetitivo o di noioso (a molti lavoratori dipendenti il proprio lavoro piace, possiamo testimoniare di molti giornalisti contenti), ma un qualcosa di organizzato da altri, dove capitale e lavoro (tanto per fare i marxisti alla vaccinara) lavorano a beneficio di altri.

Gli insegnamenti finanziari di Kiyosaki sono dal punto di vista tecnico poco più che senso comune, anche se effettivamente la maggior parte delle persone che conosciamo gestisce i propri soldi in maniera folle (basti pensare alle tante spese che si dimentica di scaricare chi ha la partita IVA). L’autore invita con forza a riflettere sul concetto di cashflow. Attività poco liquide o liquidabili, ma genericamente giudicate buone (su tutte la casa, da notare che Kiyosaki è un immobiliarista), possono rovinare la vita di una persona teoricamente benestante soltanto con una cattiva gestione delle scadenze e dei pagamenti, ma soprattutto non riescono a creare altri soldi che lavorino per noi sapendo osservare le occasioni che capitano. Non è comunque il punto centrale del libro, che è rappresentato dall’enfasi sul capire cosa stiamo facendo e cosa vorremmo fare, senza ritenere mai buttati i soldi per un corso di aggiornamento o un seminario: solo chi non conosce le basi dell’economia è ossessionato dal denaro e si chiede come guadagnarne di più senza porsi il problema del come. Il ‘come’ Kiyosaki lo ha trovato, prima con gli immobili e poi con seminari che spesso costano più di 10.000 dollari, a cui personalmente non ci iscriveremmo (ma vale anche per i più economici workshop di Criscitiello). Conclusione? Libro utile per pensare positivo, poi chiaramente le risposte le dobbiamo trovare da soli. Siamo sicuri di esserci mai fatti le domande?

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