Miami facile con tutti sani

5 Giugno 2013 di Stefano Olivari

Gli Spurs di Duncan-Popovich rimarranno nella storia della pallacanestro più della Siena di Minucci-Alabiso, quando il tempo metterà tutto nella giusta prospettiva. Ma contro gli Heat usciti vivi dal wrestling con Indiana e da un centro come Hibbert che sembra uscito dalla macchina del tempo (aaahhh, signora mia, non ci sono più i semiganci di una volta…) , sono costretti ad affidare le loro speranze di quinto anello alle condizioni fisiche precarie di Wade (semirinato in garasette con i Pacers) e Bosh. Con tutti sani queste Finals non avrebbero storia e LeBron James continuerebbe nel suo progetto di razziare il razziabile prima magari di una chiusura romantica ai Cavs. Con il Wade medio degli ultimi mesi e un Bosh esterno alla Bargnani (a proposito, l’amico Miky ci segnala una sua richiesta di biglietti omaggio per Roma-Cantù: anche i Raptors pagano a 180 giorni?) se ne può invece parlare ed infatti siamo qui a parlarne. La differenza tattica principale fra le due squadre, che i playoff hanno ingigantito, è che gli Spurs fanno arrivare la palla vicino al canestro in maniera costante, specie quando sono in campo insieme Splitter (miglioratissimo, proprio come cattiveria) e Duncan, mentre gli Heat hanno lunghe fasi di ‘cinque fuori’ e lunghi diversi da Bosh che vengono usati come motivatori (Haslem, ormai impresentabile a questo livello se non da memoria storica della squadra) o come stopper (Anthony), con il solo Andersen a far sentire fisico e tatuaggi. Il declino di Wade ha fatto sì che l’edizione 2012-13 degli Heat vivesse totalmente delle briciole di LeBron, abbastanza intelligente per capire chi in una determinata serata è ispirato fra le seconde linee: Chalmers, Miller, Battier, Allen (seconda linea adesso), Norris Cole che nei playoff è forse stato al di là della statistica il più positivo. E’ una squadra che, ad un livello più alto, non è troppo diversa dai Cavs lasciati in malo modo nel 2010. Solo che LBJ è migliorato ulteriormente, rispetto a quei tempi. Siamo cultori delle ‘chiavi’ della partita che ogni tanto appaiono in sovrimpressione: andare forti a rimbalzo, trovare canestri facili in transizione, muovere la palla (l’equivalente del calcistico ‘Hanno difensori che possono soffrire, se attaccati in velocità’). Ecco, la nostra banal-chiave sono Kawhi Leonard e le sue braccia lunghe. Se Leonard almeno innervosirà il Prescelto, gli Spurs avranno davvero in mano la chiusura in bellezza di una grande era. Sarà sufficiente che dal panico creato da Parker, sfruttando i blocchi di Splitter o Duncan, uno a turno fra Gary Neal, Danny Green, Bonner, lo stesso Leonard o, nostro sogno, Ginobili, la metta con percentuali accettabili. Tutto e il contrario di tutto, quindi, come al solito? No, dai. 70% Heat, 30 Spurs. C’è la certezza al 100%, invece, di quello che Stern avrebbe fatto (o di quello che il suo successore, dall’1 febbraio 2014, Adam Silver farebbe) a un dipendente NBA beccato a tifare.

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