Ciclismo

L’ora di Moser

Stefano Olivari 19/01/2022

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Una fra le imprese più datate dello sport italiano, nel senso che può essere compresa soltanto ricordando lo spirito dell’epoca, è senz’altro il record dell’ora che Francesco Moser stabilì a Città del Messico il 19 gennaio 1984, esattamente 38 anni fa, sotto gli occhi di Alfredo Martini ed Enzo Bearzot. Il vincitore di tre Roubaix, e di tanto altro, nel velodromo del Centro Deportivo Olimpico percorse 50,809 chilometri, superando di 1.378 metri il record che Eddy Merckx aveva stabilito 12 anni prima, sempre a Città del Messico.

Un’impresa che entusiasmò l’Italia, tranne ovviamente quella che tifava Saronni, ma anche un’impresa da asteriscare per diversi motivi. Primo fra tutti la bici a ruote lenticolari, che inaugurò anni di soluzioni tecniche innovative, industriali ma anche artigianali (come dimenticare la bici del record di Obree?), con una degenerazione che nel 2000 portò l’UCI a distinguere il record dell’ora con bici più o meno tradizionali, che quindi tornò a Merckx prima di essere di nuovo battuto, da quello per così dire no limits.

Ma tornando alla prima delle due imprese di quel gennaio (4 giorni dopo Moser si superò con un secondo record, l’iconico 51,151), che in origine avrebbe dovuto essere un assalto al record dei 20 chilometri, non si possono dimenticare il clima di attesa e le discussioni che circondarono l’equipe medico-scientifica che seguiva Moser, dal professor Conconi in giù. Con il campione trentino che a 33 anni, quando era dato per finito da molti, in quel magico 1984 avrebbe vinto anche la Milano-Sanremo ed addirittura il Giro d’Italia, sia pure con lo Stelvio cancellato in chiave anti-Fignon.

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