L’importanza della Davis

8 Aprile 2013 di Stefano Olivari

Siamo fra quelli che pensano che la Coppa Davis valga pochissimo. Non così la pensa uno leggermente più credibile di noi, Novak Djokovic, visto che il numero uno del mondo si è infortunato trascinando la Serbia contro gli Usa. La freddezza nei confronti di questa competizione così lontana dallo spirito del tennis, come si vede anche dal tipo di pubblico (questa volta non i soliti latini, ma i canadesi, si sono distinti per beceraggine) non ci ha impedito di fare l’alba con Bracciali e Fognini per il doppio che fin dalla vigilia del quarto di finale con il Canada si sapeva essere il punto decisivo. Gli altri match hanno rispettato il pronostico: ingiocabile Raonic quando serve da Raonic (il campo di Vancouver era molto simile agli indoor di una ventina di anni fa, del resto il fattore campo va sfruttato) e poi si accontenta dei suoi schemi basic, nella prima partita Seppi sotto di due set è stato bravo, pur senza cambiare marcia, a far valere la sua maggiore cilindrata rispetto a Pospisil. 15-13 al quinto set, dopo quattro ore e mezza (due solo per il set finale) in cui Fognini è stato concentrato come non mai e Bracciali è ‘entrato’ da specialista quale è su tutti i colpi incrociati dell’altro specialista Nestor e del più fresco Pospisil. Va detto, ma solo a chi non ha visto la partita, che sotto di due set gli azzurri hanno rimontato perché non hanno avuto cali di concentrazione (in rapporto alle caratteristiche, molto bene Fognini nei suoi turni di servizio tranne che sul 13 pari del quinto) ma anche perché Pospisil è stato tragico sia in battuta che in risposta. Alla fine si va di Isner-Mahut, con gli italiani in vantaggio psicologico perché al game di risposta vanno sempre in vantaggio. Però Nestor riesce a scuotere uno che potrebbe essere suo figlio e la partita finisce senza poter dare colpe all’arbitro (c’è l’occhio di falco) o al sistema. Può sembrare assurdo dirlo di una partita con un punteggio simile, ma non si è mai avuta la sensazione che i canadesi potessero perdere. E adesso? Il miglior risultato in Davis dalla finale del 1998 è dietro le spalle e in uno sport individualissimo il capitano, a meno che non sia anche il coach personale (e Barazzutti, sempre con tute da carcerato, non lo è) è poco più che un porgitore di asciugamani. Quindi qualsiasi sogno di gloria, aspettando Quinzi fra un paio d’anni, passa da un buon sorteggio e dalla programmazione dei migliori (degli altri). Non va dimenticato infatti che l’Argentina (partita della vita per Berlocq quella del 3 a 2 con Simon) è approdata in semifinale senza Del Potro e che la Repubblica Ceca ha fatto la stessa cosa senza Berdych (infortunio alla spalla), mentre la Gran Bretagna si è guadagnata un incredibile (giocava con la Russia) playoff per l’accesso al World Group con Murray altrove. Scelte che magari potrebbero cambiare in vista degli spareggi di settembre (gli accoppiamenti si sapranno mercoledì), con la discesa in campo anche di Nadal e forse addirittura di Federer. Tornando all’Italia e al netto delle considerazioni tecniche, va detto che solo le marce della Schiavone e della Errani negli ultimi tre Roland Garros hanno dato suoi media generalisti più spazio al tennis di questo quarto di Coppa Davis. Conclusione per schizzinosi: meglio la logica dell’italiano che vince (o del vestito della Sharapova) di niente.

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