Lazio grande e maledetta

22 Gennaio 2024 di Stefano Olivari

I documentari sportivi hanno un grande ed imbattibile nemico, il già visto e il già sentito. Lazio grande e maledetta, di cui abbiamo appena finito di vedere su Sky la terza ed ultima parte, non fa eccezione. Cosa dire di nuovo su una squadra, come quella che vinse lo scudetto 1973-74 ma che ebbe anche un prima e un dopo di culto, su cui sono stati scritti decine di libri e miliardi di articoli? Infatti il lavoro di Stefano De Grandis, Massimo Bomprezzi e Andrea Parini di nuovo dice davvero niente, sulla squadra italiana più iconica di sempre. Ma questo niente lo dice bene, anzi benissimo, attraverso le voci e le facce dei protagonisti meno celebrati.

Sì, perché Maestrelli, Chinaglia, Wilson, D’Amico, Frustalupi, Re Cecconi e Pulici sono morti, qualcuno in maniera violenta e tutti prima del previsto. E allora Lazio grande e maledetta si è fondato sui racconti delle seconde linee, dal punto di vista mediatico: Martini (uomo che ha avuto almeno tre vite, tutte di successo), Oddi, Nanni, Petrelli: dei viventi, della formazione titolare, mancava soltanto Garlaschelli. Racconti interessantissimi, ironici nonostante l’autocelebrazione, perché dimostrano che in ogni epoca i calciatori hanno viaggiato su un piano diverso da quello delle persone normali. Cosa diremmo a Balotelli e Zaniolo se facessero un centesimo delle cose che combinavano Chinaglia e Martini, per citare soltanto i capi dei due clan contrapposti?

Che i calciatori ‘di una volta’, definizione che non si nega nemmeno a chi ha giocato fino a stamattina, sembrassero più umani e più vicini al pubblico che li idolatrava è una distorsione della memoria, così come quella del tifo più sano (in questo caso è addirittura vero il contrario: difficile per una donna entrare in uno stadio anni Settanta), a volte anche in malafede per vendere meglio la nostalgia. Ma indubbiamente quelli della Lazio di Maestrelli spiccavano anche rispetto ai colleghi del loro tempo.

Squadra commovente, che seppe andare vicina ai propri limiti, quasi un esperimento fatto mettendo insieme caratteri estremi agli ordini di un generale intelligente come Maestrelli. Belle le testimonianze anche di Pietrangeli e Giancarlo Leone, che si allenavano ogni tanto con la Lazio prendendo randellate incredibili, e di Massimo Maestrelli, davvero senza retorica perché per lui quei ragazzi erano persone di casa. Belli e maledetti. Forse anche perché quasi tutti di destra, nonostante il documentario cerchi di dimostrare in maniera spericolata che in fondo fossero di centro.

stefano@indiscreto.net

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