Musica

La lezione dell’Eurovision 2022

Paolo Morati 15/05/2022

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Dunque l’Eurovision Song Contest 2022 l’ha vinto l’Ucraina come ampiamente previsto, con Volodymyr Zelens’kyj che si è già offerto di ospitare la gara il prossimo anno a Mariupol, auspicandone implicitamente la riconquista e ricostruzione. Al di là di speranze o utopie, tutto come da copione per una manifestazione che seguiamo con passione da decenni anche quando in Italia non se la filava quasi nessuno, al punto che si era smesso di parteciparvi. Un copione nel senso che non devono esserci imprevisti e tutto deve filare liscio e stabilito al secondo, con prove su prove che mettono a dura prova la resistenza di organizzatori, conduttori e partecipanti.

Lo show viene infatti scritto con precisione assoluta, presentazione compresa, tenendosi pronto per intervenire nel caso in diretta dovesse andare storto qualcosa. E tutto, anche nella Grand Final di sabato, è volato via senza sbavature, a parte il malore di Laura Pausini, assente nella prima fase di annuncio dei voti. Copione che non riguarda, ben inteso, l’esito finale, anche se mai come quest’anno il risultato appariva scontato. A noi Stefania della Kalush Orchestra continua a non piacere particolarmente, ma la valanga di voti arrivata dal pubblico rende incontestabile la vittoria ucraina.

Il secondo posto di Sam Ryder – meglio la sua grande voce che lo staging – per il Regno Unito ripaga la ‘Corona’ delle tante brutte figure fatte negli anni passati, mentre la terza piazza della Spagna (Chanel con SloMo) sembra soddisfare ma non troppo i fan iberici, molto attivi in questi giorni per supportare la loro rappresentante, votatissima dalle giurie. Anche qui esibizione ben costruita secondo schemi collaudati a livello mainstream, ma non il nostro ‘piece of cake’ come direbbero gli inglesi.

Appena fuori dal podio il pop millimetrico svedese di Cornelia Jakobs: Hold me closer l’abbiamo ascoltata parecchio in questi giorni. Da capire ancora per quanto, con l’impressione che molti brani in gara avrebbero potuto tranquillamente sostituire quelli in heavy rotation su radio e in playlist senza modificane più di tanto il risultato, con il plus di idiomi diversi. Insomma, alla fine questione di opportunità e strategie discografiche.

L’Italia, infine. Grande successo televisivo e non solo per una produzione lontana dalle nostre abitudini, con poche chiacchiere, nessuna lungaggine e tanta musica. Una lezione per chi non ci credeva e un sesto posto per Mahmood e Blanco, mai in gara per le primissime posizioni con Brividi ma comunque ben comportatisi come d’abitudine per il nostro Paese. Volenti o nolenti la musica italiana piace all’estero, si mettano l’anima in pace i critici da tastiera impegnata.

In tutto questo tanto di cappello a Gigliola Cinquetti, emozionante, sobria, senza effetti speciali nella sua immortale Non ho l’età. Era il 1964 quando vinse l’Eurovision, la prima volta per l’Italia. Ed è stata importante la sua presenza a Torino, tra l’altro incorniciata in una scenografia che ha dimostrato tutto il potenziale del progetto di partenza. Importante molto più di quella dei Måneskin, internazionali sì ma che non devono rischiare di diventare troppo poco italiani. Auspicio, ma anche augurio.

info@indiscreto.net

FOTO: EBU / ANDRES PUTTING

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